La perdita di chance
Il risarcimento del danno da perdita di chance quale danno emergente o lucro cessante; l'evoluzione di tale forma di risarcimento nell'ordinamento italiano.
La tutela risarcitoria, ad oggi, non può riservarsi esclusivamente alla reintegrazione del pregiudizio subito da un bene per così dire ''reale'' del danneggiato, ossia ricompreso concretamente nel suo patrimonio, ma deve estendersi anche ad ulteriori categorie di beni che, sebbene non direttamente percepibili dall'interessato, costituiscono situazioni giuridiche soggettive suscettibili di tutela nell'ordinamento.
In quest'ottica, si è arrivati a riconoscere rilevanza anche al c.d. danno da perdita di chance.
Con il termine ''chance'', in particolare, si indica quella aspettativa legittima di natura patrimoniale, risarcibile quale conseguenza mediata ed indiretta dell'evento dannoso lesivo di un diritto soggettivo, caratterizzata dalla possibilità o comunque dalla probabilità di ottenere un dato risultato favorevole. Qui, dunque, il danno consiste nella perdita di tale possibilità, ossia nell'impossibilità per l'agente di conseguire il vantaggio perseguito a causa dell'inadempimento o del fatto illecito del danneggiante.
La previsione di un risarcimento in caso di danno da perdita di chance è avvenutaabbastanza recentemente: solo a partire dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 500 del 1999, infatti, si è iniziato a riconoscere la risarcibilità non soltanto del danno ingiusto causato dalla lesione a diritti soggettivi, ma anche a prendere in considerazione quelle legittime aspettative di natura patrimoniale, purché si tratti, dice la Corte, di legittime aspettative e non di aspettative semplici.
In un primo momento la giurisprudenza aveva negato autonomia risarcitoria a tale voce di danno, mancando la certezza, l'attualità e la prevedibilità del pregiudizio, trattandosi di un danno meramente potenziale e come tale non suscettibile né di valutazione, né di liquidazione equitativa.
Anche la dottrina si era espressa in senso fortemente critico al riconoscimento di tale danno, ritenendo che la ''chance'' fosse solo una aspettativa di mero fatto, come tale non suscettibile di alcuna tutela giuridica. D'altra parte, tale aspettativa sarebbe priva del necessario collegamento materiale con la condotta del danneggiante: la perdita di una possibilità futura, infatti, non può essere considerata quale conseguenza immediata e diretta di tale condotta e, pertanto, ai sensi dell'art. 1223 c.c., non può essere oggetto di alcun risarcimento.
Solo di recente, invece, si è evidenziato che per ''danno ingiusto'' deve intendersi qualsiasi danno che non possa restare a carico delle vittima, con la conseguenza che non devono e non possono dirsi risarcibili, ai sensi dell'art. 2043 c.c., i soli diritti soggettivi, dovendo ritenersi comprese nella previsione legislativa anche le legittime aspettative di natura patrimoniale.
La giurisprudenza di legittimità, ad oggi, considera il danno derivante dalla perdita di chance come un'entità patrimoniale a sé stante, come tale economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione. La ''chance'' non può, dunque, più considerarsi come una aspettativa di mero fatto, bensì come una posizione giuridica soggettiva suscettibile di tutela giuridica.
In ambito giuridico la chance trova collocazione nel campo della responsabilità, in quanto designa una tecnica risarcitoria applicabile tanto alla responsabilità contrattuale, quanto a quella aquiliana.
Il danno da perdita di chance trova oggi applicazione nei settori più vari, dalla responsabilità medica, quale perdita della possibilità di sopravvivenza e di guarigione, alla responsabilità dell'avvocato, quale perdita della possibilità di vincere la causa o comunque di ottenere un risultato maggiormente favorevole. Un danno da perdita di chance è stato, inoltre, affermato nella mancata possibilità di essere assunti o di conseguire avanzamenti di carriera, a causa di irregolarità nello svolgimento dei concorsi.
Proprio in considerazione dell'aleatorietà e dell'incertezza che la caratterizza, la chance rappresenta sicuramente una delle tematiche in cui emerge con maggiore evidenza la difficoltà di distinguere tra danno emergente e lucro cessante.
Dottrina e giurisprudenza sono infatti da sempre oscillati tra l'opzione interpretativa che riconduce alla ''chance'' il significato di perdita subita, in termini di perdita della possibilità di conseguire un incerto risultato finale; e quella che, invece, le attribuisce i connotati del mancato guadagno, ossia di mancata realizzazione del risultato finale favorevole che, in assenza dell'evento lesivo o dell'inadempimento, si sarebbe sicuramente raggiunto.
Secondo alcuni la c.d. ''chance'' consisterebbe in un pregiudizio patrimoniale derivante dalla perdita della possibilità di conseguire un dato vantaggio, distinta dal bene finale a cui si aspirava. Ne consegue, dunque, che essa è una entità valutabile autonomamente, la cui perdita determina un danno attuale e risarcibile qualora si accerti la ragionevole probabilità della sua esistenza, intesa come attitudine attuale a conseguire un dato risultato.
In questo senso la perdita di chance, in quanto costituente perdita della possibilità di conseguire un dato risultato favorevole, e non invece perdita del risultato favorevole, integra un pregiudizio attuale, ossia un danno emergente.
Secondo tale orientamento, quindi, la ''chance'' è una situazione giuridica già esistente nel patrimonio del danneggiato al momento della verificazione dell'evento lesivo; il danno da perdita di chance sarebbe, dunque, un pregiudizio attuale - non semplicemente futuro e potenziale - in quanto pregiudicherebbe una aspettativa presente.
In sintesi, quindi, la perdita della possibilità di conseguire un risultato, in termini patrimoniali, configura una lesione al diritto all'integrità del proprio patrimonio, la cui risarcibilità è conseguenza del verificarsi di un danno emergente da perdita di una possibilità attuale e non di un futuro risultato utile.
A favore della perdita di chance quale danno emergente, si espressa anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale il danneggiato, in questi casi, non può far valere una pretesa risarcitoria che abbia ad oggetto un danno futuro ed incerto, ma il danno presente costituito dalla perdita di un'occasione favorevole. Il danno da perdita di chance, infatti, esula dalla categoria dei danni futuri, ossia da quei danni che si prevedono doversi verificare in un tempo successivo a quello in cui il danneggiato fa valere la sua pretesa; il criterio differenziale va individuato nel fatto che il danno da perdita di chance costituisce un danno attuale e presente, costituito dalla lesione della possibilità di conseguire il risultato favorevole.
Adottando tale impostazione, dunque, il creditore/danneggiato sarà soggetto ad una prova semplificata, in quanto potrà limitarsi a dimostrare la mera possibilità di conseguire il risultato sperato. Impostata la ''chance'' in termini di danno emergente e, quindi, come bene giuridico immanente nel patrimonio del danneggiato, inoltre, si evita qualsiasi interferenza con il nesso di causalità: la prova, infatti, non riguarda il nesso eziologico tra condotta ed evento, ma la consistenza del bene nel patrimonio del soggetto.
Ulteriori conseguenze di tale interpretazione si hanno sul piano processuale: secondo la Suprema Corte, in particolare, la domanda volta al risarcimento del risultato sperato e quella tendente al riconoscimento della possibilità di conseguirlo sono domande ontologicamente differenti. Qualora l'attore abbia richiesto soltanto il danno da mancato risultato, allora, il giudice non potrà esaminare ed eventualmente liquidare anche il danno da perdita di chance.
Avverso la considerazione della ''chance'' come danno emergente si sono mosse importanti critiche: in primo luogo, si dice, così ragionando si finisce per creare una sorta di ''realtà virtuale'', in quanto la ''chance'' non può essere considerata come un'entità autonoma facente parte del patrimonio del danneggiato, rilevando per il diritto solo se e quando viene lesa. Così interpretando, inoltre, vi è il rischio di cedere a risarcimenti futili: una volta ammesso che la speranza in quanto tale è un bene autonomo e che la sua lesione costituisce un'ipotesi di danno risarcibile, dovrebbe di conseguenza ammettersi che la lesione di qualsiasi speranza, anche infima, andrebbe risarcita.
Sulla base di tali argomentazioni, un altro orientamento dottrinale riconduce la figura della perdita di chance nell'ambito del danno da lucro cessante. In quest'ottica la ''chance'' è considerata, non come semplice perdita della possibilità di conseguire un dato vantaggio, ma come perdita del risultato finale che il soggetto avrebbe conseguito se non ci fosse stato il comportamento illecito ovvero l'inadempimento contrattuale.
Il danno da perdita di chance, dunque, secondo tale opinione si configurerebbe come una lesione futura, intesa come impossibilità di conseguire un risultato favorevole e non come perdita attuale della possibilità di conseguirlo. Ne deriva, dunque, che per il riconoscimento e il conseguente risarcimento di tale danno è necessario accertare, nonla sussistenza della possibilità di conseguire un vantaggio, ma la concreta o comunque reale probabilità di ottenerlo.
Tale impostazione presenta indubbiamente degli inconvenienti: in primo luogo, assumere che, in mancanza della condotta del danneggiante, l'evento favorevole si sarebbe certamente verificato, significa richiedere che il creditore/danneggiato fornisca la prova del sicuro raggiungimento del risultato vantaggioso; prova che nella maggior parte dei casi si rileva impossibile, in quanto difficilmente il danneggiato sarà in grado di dimostrare la sicura realizzazione del vantaggio. In secondo luogo, così ragionando si realizza una sorta di contaminazione con il nesso causale: in questa prospettiva, infatti, la chance si limita a descrivere una sequenza causale, diviene cioè un mero criterio di verifica della sussistenza del legame eziologico tra la condotta illecita o di inadempimento e la verificazione del danno subito, quale perdita del risultato finale.
La dottrina oggi dominante, realizzando una sorta di sintesi tra le tesi anzidette, attribuisce al concetto di ''chance'' un duplice significato. Per ''chance'' deve infatti intendersi, da un lato, la mera possibilità di conseguire un dato risultato favorevole, dall'altro, la concreta probabilità di ottenerlo; la perdita di chance costituisce, dunque, danno emergente quando influisce sulla semplice possibilità di conseguire il vantaggio, mentre configura un lucro cessante quando impedisce il raggiungimento, e non la semplice possibilità, di ottenere quel vantaggio, ossia quando sia stata dimostrata la concreta probabilità che il danneggiato avrebbe effettivamente conseguito il risultato preso di mira. In questa ipotesi, infatti, il danno consiste nel mancato conseguimento di un vantaggio che, altrimenti, si avrebbe probabilmente ottenuto e quindi costituisce, non un danno emergente, inteso quale perdita attuale di una mera possibilità di conseguimento, ma un lucro cessante, ossia una perdita futura di un risultato che sicuramente si avrebbe raggiunto.
Secondo la giurisprudenza più recente, la contrapposizione tra le due posizioni giurisprudenziali e dottrinali deriva esclusivamente da una visione parziale della fattispecie risarcitoria, che contrappone erroneamente, come blocchi distinti e reciprocamente incompatibili, i vari elementi costitutivi del danno da perdita di chance. Occorre, secondo la Corte, procedere ad una unificazione dei due orientamenti interpretativi: da un lato, riconoscere alla chance la qualità di bene giuridico autonomo, indipendente dalla situazione di vantaggio verso cui tende, dotato di per sé di rilevanza giuridica ed economica, in quanto elemento facente attivamente parte del patrimonio del soggetto che ne ha la titolarità; dall'altro, invece, attribuire rilievo decisivo all'elemento prognostico o, probabilistico, il quale è posto quale fattore strutturale e costitutivo, da accertare indefettibilmente al fine di riconoscere ad una mera possibilità la consistenza necessaria per rientrare nella nozione di chance e, dunque, per ricevere protezione da parte dell'ordinamento.
La ricostruzione del danno da perdita di chance come danno emergente o come lucro cessante influisce anche sull'an e sul quantum del risarcimento.
Laddove, infatti, si accogliesse il concetto di ''chance'' come mancato conseguimento di un dato risultato (ossia in termini di lucro cessante), affinché possa essere risarcita l'impossibilità di conseguirlo, e quindi riconosciuto il danno, occorrerà dimostrare la probabilità che il vantaggio si sarebbe effettivamente conseguito.
Per l'orientamento opposto, invece, che considera la ''chance'' come mera possibilità di conseguire un certo risultato, tale soluzione finirebbe per confondere il piano dal quantum con quello dell'an.
Si sostiene, in particolare, che ai fini dell'an non può rilevare la percentuale di verificazione dell'evento sperato, ma soltanto l'esistenza di una possibilità effettiva che questo si verifichi; tale percentuale, al contrario, dovrebbe assumere rilevanza per determinare il quantum, ossia l'entità del risarcimento. In giurisprudenza, tuttavia, al fine di evitare il risarcimento di possibilità per così dire ''irrilevanti'', si afferma che possono ottenere ristoro solo quelle richieste che corrispondono ad una possibilità ''non trascurabile'' di ottenere il risultato utile.