La tutela dei minori in Italia tra teoria e prassi
Risvolti applicativi sulla rappresentanza processuale del minore: la legge n. 149/2001 e la legge n. 77/2003
Il pensiero di seguito esposto non ha l'intento di essere un'esposizione dotta sulla legislazione nazionale ed internazionale, che pone la tutela del minore come esigenza prioritaria di ogni società civile. Piuttosto si propone di raccontare l'esperienza professionale relativa alla prassi nell'applicazione concreta di tali principi.
Quando si pensa alla tutela dei minori, si volge inevitabilmente la mente ai gravi problemi relativi allo sfruttamento, ai maltrattamenti, alla violenza fisica e psicologica, alla mutilazione pedissequa e costante di personalità in formazione, inermi, facilmente assoggettabili e condizionabili. Ciò che tuttavia talora sfugge è che tali dinamiche non sono attuali solo in alcune società lontane dai principi della democrazia, ma emergono con sempre maggiore frequenza anche nella nostra società, in contesti insospettabili, preposti essenzialmente alla formazione ed alla cura dei minori.
In particolare l'ambiente ove si svolge primariamente la loro personalità è la famiglia, che rimanda inequivocabilmente all'immagine di un luogo sicuro, stabile, fondata sui capisaldi dell'affetto incondizionato, del sostegno costante, della complicità reciproca, della tutela dagli attacchi del mondo esterno. Essa rappresenta una fortezza inespugnabile. Laddove le dinamiche dei rapporti interfamiliari raggiungano i presupposti dell'equilibrio e dell'armonia, la famiglia sarà una fonte inesauribile di energia positiva, che accompagnerà ed incentiverà l'esistenza di ogni suo membro. Tuttavia, qualora sussistano delle fratture interne, insanate ed insanabili, quelle stesse dinamiche possono imbrigliare, in modo inconsapevole, i componenti del nucleo familiare e la fortezza inespugnabile diviene una prigione. In taluni casi i rapporti sono talmente distruttivi da determinare la soccombenza psicologica dei soggetti più fragili, il più delle volte minorenni.
Si rende pertanto indispensabile l'intervento di agenzie esterne, per la loro salvaguardia, operatori sociali e di giustizia, preposti all'analisi psicologica e giuridica delle diverse situazioni che si profilano, per evitare che le problematiche emotive e psicologiche attuali, divengano danni permanenti. È a questo punto che si palesano le gravi contraddizioni tra i chiari principi, posti a fondamento della tutela dell'infanzia, espressi dalle norme nazionali ed internazionali, e la loro prassi attuativa. Molto spesso, infatti, le autorità competenti sono sprovviste di strumenti e risorse adeguati per porre in essere le misure necessarie per interventi di tutela appropriati, ma soprattutto efficaci. Talora alcuni principi legislativi di notevole pregio, rimangono lettera morta proprio a causa dell'inadeguatezza delle strutture che dovrebbero attuarli.
Mi riferisco ad esempio alle leggi del 28 marzo 2001 n. 149, di recente attuazione (luglio 2007), e del 20.03.2003 n. 77, rimasta ad oggi inattuata. Tali riferimenti legislativi stabiliscono il principio, ormai consolidato, della rappresentanza processuale dei minori nei procedimenti che li riguardano, tramite un avvocato, al fine di tener conto anche della loro opinione nell'emanazione di provvedimenti che condizioneranno in modo permanente la loro esistenza. In particolare la legge 149/2001 ha previsto l'obbligo di nominare un avvocato ai genitori ed al minore, nelle procedure di limitazione e decadenza della potestà ed in quelle per la dichiarazione di adottabilità, presso i Tribunali dei Minori. La legge 77/2003, si limita a ratificare la convenzione di Strasburgo del 25.01.1996, che, dando attuazione ai principi della convenzione di New York del 20.11.1989, sancisce il diritto del minore, dotato di capacità di discernimento, di essere informato ed esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, dinnanzi ad un'autorità giudiziaria (art. 3), nonché, nei casi in cui il diritto interno privi i detentori delle responsabilità genitoriali della facoltà di rappresentarlo, a causa di un conflitto di interessi, il diritto di richiedere un rappresentante speciale (art. 4), ed il potere dell'autorità giudiziaria di designarne uno, (nei casi opportuni un avvocato), qualora ne ravvisi la necessità (art. 9). Ebbene, la legge 77/2003 non ha ad oggi alcuna attuazione nelle aule dei Tribunali. La legge 149/2001 ha avuto un principio di attuazione solo nel luglio 2007, quando i Tribunali dei Minori hanno predisposto delle liste di avvocati d'ufficio e curatori speciali, confondendo le funzioni delle due figure, senza tuttavia che ne fosse ben chiaro il ruolo e le modalità di azione, dal momento che ad oggi mancano ancora i decreti attuativi.
Ne è derivata una grande confusione nella gestione dei diversi procedimenti, a scapito dell'intento primario di consentire un'effettiva tutela del minore, capace di discernimento, con un suo ruolo attivo e consapevole nei procedimenti che lo riguardano. Di fatto queste nuove figure, previste dall'ordinamento per dar voce alle esigenze, dirette e non mediate, del minore in difficoltà, rimangono spesso nell'ombra, seppur formalmente e giuridicamente presenti, rendendo vano il ruolo che ricoprono. Tutto ciò accade in quanto manca una prassi d'azione che ne definisca in modo chiaro i poteri e gli obblighi. È evidente che non può essere lasciato tutto al buon senso ed alla libera interpretazione di coloro che, magistrati, avvocati, operatori sociali, operano nel settore.
È auspicabile un intervento immediato da parte degli organi amministrativi in tal senso anche se è già trascorso un anno, ma la situazione sembra invariata. Questa è solo una sintetica riflessione su uno dei tanti risvolti della tutela dei minori: la loro rappresentanza processuale. Tuttavia molteplici sono i settori che potrebbero essere analizzati, a partire dall'operato dei servizi sociali, alla mancanza di una formazione specifica degli operatori di giustizia nel diritto di famiglia, all'insufficienza ed inadeguatezza delle strutture tenute ad ospitare i minori in difficoltà, infine all'assenza di coordinamento ed il più delle volte anche di capacità comunicativa, tra le diverse figure di "addetti ai lavori".
In tale contesto sociale e istituzionale, operare costantemente a stretto contatto con situazioni drammatiche, osservare dinamiche umane profilarsi nel tempo nelle aule dei tribunali senza risultati oggettivi, a fronte dell'inerzia delle istituzioni, fa scaturire un forte senso di amara rassegnazione, nonostante la chiara consapevolezza dell'urgenza di una svolta concreta che possa rendere effettiva la tutela del minore, come priorità di ogni società civile che fonda la sua evoluzione sul rispetto dei diritti umani e l'assunzione di responsabilità rispetto ai soggetti più fragili.