Pagare l’affitto? Breve riflessione sui contratti di locazione per studenti universitari
La sorte del contratto di locazione transitoria per studenti universitari in emergenza COVID: nullità ed inefficacia
Un tema particolarmente ricorrente tra gli operatori del diritto in questi tempi difficili è la sorte dei contratti di locazione, abitativa e non.
Ci si domanda se sia lecito astenersi dal pagare i canoni adducendo la straordinarietà delle circostanze, che legittimerebbe l'inquilino – colpito dalla gravissima crisi economica conseguente al blocco delle attività produttive – a soprassedere.
E ci si domanda ancora (ma questo aspetto è meno commentato, in realtà) se, oltre alla mancanza di liquidità, abbia rilievo la circostanza che, avendo il Governo fortemente limitato gli spostamenti delle persone e vietato quelli al di fuori del Comune di residenza, sia di fatto diventato impossibile godere delle abitazioni transitorie (sovente quelle degli studenti universitari fuori sede, ma in generale tutte le locazioni legate ad esigenze temporanee).
Sono molteplici gli interventi reperibili in rete e questa è solo una sintesi interpretativa, ma grosso modo possiamo dire così:
- a)Per le locazioni non abitative il Decreto n.18/2020 (c.d. "Cura Italia") prevede, all'art.65, un credito d'imposta pari al 60% dei canoni d'affitto pagati nel mese di marzo, creando all'uopo un codice tributo apposito da spendere alle scadenze fiscali; ciò significa che non è prevista la possibilità di non pagare il canone e nulla cambia nei rapporti tra locatore e conduttore;
- b)Nulla invece è previsto per le locazioni abitative; tuttavia il medesimo Decreto introduce all'art.91 un concetto generale (valevole dunque anche per le locazioni non abitative) di sostanziale "scusabilità" del mancato pagamento che l'inquilino potrebbe utilizzare se chiamato in giudizio dal proprietario di casa (o comunque invocabile ogni qualvolta questi dovessi pretendere il rispetto delle scadenze).
Si tratta, come accennato, di una previsione ampia, che fa richiamo a concetti generali del nostro ordinamento (dalla responsabilità per inadempimento agli obblighi di correttezza contrattuale e persino ad un generico dovere di coesione e protezione sociale così di recente ipotizzato dalla Corte Costituzionale). Lasciando da parte l'applicazione del principio alle locazioni "ordinarie" (e così definisco, per gli scopi di questo brevissimo lavoro, quelle non abitative e quelle abitative di cui all'art.2 della Legge 431/1998, nelle quali cioè per lo più ci sia una esigenza di stabile residenza), trovo interessante qui portare l'attenzione sul caso particolare, dianzi accennato, delle locazioni transitorie per studenti universitari fuori sede (art.5, comma 2, L.cit.), poichè rilevo modestamente – in punto di diritto – che le soluzioni variamente offerte (quelle che ho letto, per lo meno) non paiono esaustive.
Tutte si muovono infatti, sia pure con toni ed accenti diversi, all'interno della categoria della "risoluzione del contratto" di cui al Libro IV, Titolo II, Capo XIV, sezioni I, II, III del Codice civile; cioè, in termini più semplici, affermano che (o quantomeno esaminano se) il contratto si risolva o debba essere adeguato (art. 1467, 3 comma).
Tutte, cioè, prendono le mosse dal considerare inadempiente il conduttore, facendo riferimento alla sua prestazione (il versamento del canone). Egli, semplicemente, paga o non paga; l'altra prestazione, quella del locatore di concessione del pacifico godimento dell'immobile non è in discussione, la casa è lì, libera e sgombra.
Ed in effetti è lo stesso intervento normativo sopra accennato che, invocando la scusabilità dell'inadempimento, induce in questa direzione.
Tuttavia credo che la contingenza abbia disvelato nuove ipotesi (come spesso accade, la realtà è più fantasiosa del diritto) e spinga l'interprete a qualche riflessione aggiuntiva.
Mentre infatti la fattispecie di risoluzione per inadempimento (art.1453 c.c.) è influenzata, nel presente momento storico, unicamente dalla grave crisi economica del Paese, che non può incidere su altro che la prestazione del conduttore di pagamento del canone, facendogli mancare del tutto i mezzi finanziari ordinariamente detenuti e conseguentemente spingendo a valutare le clausole di mitigazione o esclusione di responsabilità, inquadrate sotto il nomen di caso fortuito o forza maggiore, per escludere la "gravità" dell'inadempimento a fini definitivamente risolutivi o comunque di limitazione del danno, non altrettanta linearità, per motivi diversi, ravvedo nelle diverse ipotesi contemplate dagli artt. 1463 (impossibilità sopravvenuta) e 1467 (eccessiva onerosità).
Prendendo in esame per prima la fattispecie di cui all'art.1467 c.c., perché più affine per quel che qui consta alla fattispecie precedente, osservo che l'eccessiva onerosità (sopravvenuta) della prestazione del conduttore non può certo ricondursi – quanto meno nel meccanismo ordinario dell'art.1467 c.c. ed in assenza, nel nostro ordinamento, di una ispirazione solidaristico comunista che ragguagli l'affitto ai redditi dell'obbligato – alla improvvisa difficoltà economica del medesimo; la sopravvenuta onerosità dell'una prestazione va riferita invero ad uno smarrito equilibrio tra le prestazioni scambiate, cioè le due obbligazioni, che al nascere del rapporto si equivalevano sul piano (economico e) sinallagmatico, ora, per "avvenimenti straordinari ed imprevedibili" non si equivalgono più, e quindi si consente appunto di ristabilirne un bilanciamento; ma trattasi, ripeto, di equilibrio tra le prestazioni, non di difficoltà contingente a renderne una di esse.
Pertanto non mi pare che invocare l'art.1467 sia calzante.
Quanto invece alla fattispecie di cui all'art.1463 c.c. (impossibilità sopravvenuta), trovo che essa ponga molti e più interessanti problemi.
La fattispecie, per quel che vedo io (e, ribadisco, nell'ambito in cui si pone questo breve lavoro), non è infatti influenzata tanto dalla crisi di liquidità indotta dal blocco delle attività produttive, quanto piuttosto dal blocco in sé e dal divieto di spostamento delle persone. Vediamo perché:
- a)Per il primo aspetto, il blocco si è tradotto nella cessazione delle attività didattiche universitarie (nella chiusura delle lezioni), quanto meno nella forma della presenza fisica degli alunni in aula, la qual cosa deve far riflettere se ciò non abbia un effetto sulla causa stessa della locazione transitoria ex art. 5, commi 2 e 3, L.431/1998, ivi di fatto tipizzata (infra, "Conclusioni").
- b)Per il secondo, il divieto di spostamento può avere impedito, di fatto e di diritto, allo studente (per definizione) "fuori sede" di prendere alloggio nell'abitazione prescelta; ma se così è, ciò che è mancato non è la "possibilità" della prestazione del conduttore, che è e resta unicamente quella di pagare un canone e rispetto alla quale il divieto di spostamento nulla impedisce, né la "possibilità" della prestazione del locatore, giacchè l'alloggio resta disponibile (e magari già ingombro degli arredi dello studente). Nessuna delle due obbligazioni contrattuali è diventata impossibile e nessuna delle due parti è conseguentemente liberata. Ciò che viene a mancare è in realtà la possibilità per il conduttore di usufruire della prestazione del locatore, ma questa "impossibilità a godere della prestazione dell'altro" non è contemplata dall'art.1463. Torna dunque in rilievo la necessità di affrontare il problema con altri mezzi, per esempio invocando quel "difetto funzionale di causa" ipotizzato al paragrafo a) e sul quale tornerò in "Conclusioni".
- c)D'altra parte, non possiamo escludere che alla data dell'8 marzo il malcapitato studente si trovasse già nell'abitazione locata e sia stato al contrario impedito, facto principis, di tornare a casa; quid iuris, se la locazione perdura in concreto, ma senza le lezioni e dunque senza alcuna utilità tipizzata per lo studente?
CONCLUSIONI
Io credo che le categorie di cui al Capo XIV del codice civile, nell'ambito di cui ci stiamo dilettando, siano inadeguate. Una prima impressione ed ipotesi alternativa è che in questo frangente venga a mancare quella che risalente ma sempre valida terminologia definisce la "funzione economico sociale del contratto", cioè la sua causa. Nel contratto tipo previsto dal Legislatore per regolamentare le esigenze locative degli studenti fuori sede la causa della locazione abitativa ordinaria si arricchisce infatti, fino a "tipizzarla", dello specifico riferimento ai corsi di studio universitari; tanto che lo schema tipo di contratto è dedicato e circoscritto a quelle caratteristiche soggettive. Come dunque non rilevare un difetto sopravvenuto di causa se cade la funzione per cui il contratto è stipulato? Certo, sappiamo bene che le conseguenze dell'assenza di un elemento essenziale del contratto devono leggersi come nullità del medesimo e che solitamente la patologia riguarda la genesi del contratto, non il suo svolgersi; epperò non sfugge che la categoria delle nullità è da tempo soggetta ad una revisione critica. Non è questa la sede per discuterne, ma certo lo scenario odierno offre uno spunto interessante per rivedere certe posizioni.
L'alternativa, meno dolorosa ma non meno interessante, è invocare la sopravvenienza di una circostanza che paralizza l'efficacia del contratto, tradizionalmente intesa come l'attitudine di un contratto per sé pienamente valido di produrre effetti.
Ed invero il ricorso a questo semplice concetto, se da un lato fotografa la realtà del fenomeno (ovvero una circostanza esogena e non controllabile dalle Parti che impedisce la produzione degli effetti contrattuali voluti, senza che queste ne abbiano alcuna responsabilità), dall'altra aderisce all'idea di un contratto valido al suo nascere, astrattamente idoneo a produrre effetti, in cui le prestazioni reciproche non sono divenute impossibili né se ne è alterato l'equilibrio; e, collocando il contratto in una fase di sospensione temporanea dell'obbligo a rendere le reciproche prestazioni, impedisce la lite ed autorizza il conduttore (era questa l'esigenza da cui eravamo partiti) a sospendere il pagamento del canone.
avvocato Andrea Testuzza