Discriminazione del lavoratore omossessuale
La discriminazione del lavoratore in base al suo orientamento sessuale ricade sotto la tutela della Legge federale sulla parità dei sessi? Una recente pronuncia del Tribunale federale.
Ai sensi dell'art. 3 cpv. 1 della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar), "nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati né direttamente né indirettamente a causa del loro sesso, segnatamente con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza". Il secondo capoverso del medesimo articolo prevede inoltre che "il divieto [di discriminazione] si applica in particolare all'assunzione, all'attribuzione dei compiti, all'assetto delle condizioni di lavoro, alla retribuzione, alla formazione e alla formazione continua, alla promozione e al licenziamento". La normativa trova applicazione nell'ambito dei contratti di lavoro di diritto privato (disciplinati dal Codice delle obbligazioni) ma anche nell'ambito dei contratti di lavoro disciplinati dal diritto pubblico federale (art. 1 LPar).
La precitata norma mira pertanto a prevenire che una lavoratrice o un lavoratore si trovino pregiudicati nell'ambito di un rapporto di lavoro (già iniziato oppure ancora nella fase embrionale) in ragione del proprio sesso, inteso in senso diretto ma anche in senso indiretto, ossia con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare od ancora ad una gravidanza. In caso di violazione del divieto di discriminazione, il lavoratore potrà proporre un'azione civile volta all'ottenimento, in primis, della cessazione della discriminazione e secondariamente all'ottenimento di un'indennità, laddove la discriminazione abbia dato luogo ad una mancata assunzione, ad un mancato rinnovo di un contratto a tempo determinato oppure alla disdetta del contratto di lavoro ai sensi del Codice delle obbligazioni.
Si pone ora il quesito - oggi più che mai attuale - a sapere se una discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale ricada sotto il divieto espresso dalla LPar oppure se la definizione di "sesso" sia da intendersi unicamente quale distinzione tra uomo e donna. Il Tribunale federale, in una recente - e per certi versi sorprendente - pronuncia (DTF 145 II 153), ha negato l'applicabilità della tutela fornita dalla LPar alla discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale, propendendo così per un'interpretazione prevalentemente letterale della norma, contrariamente alla moderna interpretazione data, recentemente, dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, v. Bostock contro Clayton County).
Infatti, a mente della massima istanza, il divieto della discriminazione basata sull'orientamento sessuale sarebbe contenuta nell'art. 8 cpv. 2 della Costituzione federale (ossia nell'ambito del divieto generale di discriminazione) e non al terzo capoverso, il quale prevede espressamente l'uguaglianza tra uomo e donna. Di conseguenza, il Tribunale federale intravvede nella LPar una lex specialis rispetto al divieto generale di discriminazione, ritenuta la specifica applicabilità di tale legge all'uguaglianza tra i sessi, intesi in senso prettamente biologico.
Infine, nella citata pronuncia, l'Alta corte ha rilevato come diversa sarebbe la situazione laddove solamente le persone omosessuali dello stesso sesso venissero discriminate, non già a causa del loro orientamento sessuale ma proprio in ragione dell'essere uomini o donne: infatti, a tale discriminazione tornerebbe applicabile la LPar con le relative tutele, visto come in questo caso sussisterebbe una discriminazione indiretta manifestamente legata all'ineguaglianza tra uomo e donna, seppur di diverso orientamento sessuale.