Assenteismo: quando si considera tale e in cosa si incorre

In Italia si sente spesso parlare di assenteismo sul posto di lavoro. È un'accusa che, se confermata, può portare a gravi conseguenze per il lavoratore.

Cos'è l'assenteismo?

In ambito lavorativo, l'assenteismo è un comportamento messo in atto dal lavoratore che può pregiudicare l'impresa. Ciò avviene tramite una reiterata richiesta di assenza temporanea, prolungata o permanente dal posto di lavoro per cause non giustificate. Solitamente questo comportamento viene messo in atto attraverso richieste eccessive di permessi retribuiti per malattia, per problemi personali, assenze e ritardi ingiustificati o assenze fatte grazie alla copertura degli altri colleghi.

Fra i casi più comuni di assenteismo troviamo la "simulazione di malattia". In questo caso il lavoratore si finge ammalato per non andare a lavoro o per svolgerne un altro.

Il termine "assenteismo" viene utilizzato, a livello giuridico, per motivare un licenziamento giustificato.

Tuttavia, in alcune circostanze concrete, il lavoratore è giustificato e non può essere accusato di assenteismo. È il caso delle ragioni sindacali, ad esempio scioperi (solitamente non retribuiti) e assemblee.

Le conseguenze

L'assenteismo può incidere sull'economia dell'impresa ma anche sul lavoro degli altri dipendenti. Può causare, infatti, un calo di produttività da una parte e dall'altra incrementare la mole di lavoro sugli altri colleghi. Se l'assenteismo viene provato, il lavoratore può essere licenziato senza preavviso innescando il cosiddetto licenziamento per giusta causa. Ciò avviene perché è stato spezzato il rapporto di fiducia che lega il lavoratore con l'impresa. Ovviamente, per poter procedere in tal senso, il datore di lavoro deve avere prove concrete dell'assenteismo. Per questo, molte imprese, si rivolgono ad agenzie di investigazione.

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