Maltrattamenti per gelosia? È reato
Il reato di 'Maltrattamenti contro familiari o conviventi' è disciplinato dall'articolo 572 del Codice penale.
Nonostante la gelosia venga visto spesso come un sentimento piuttosto comune e normale, può trasformarsi in un vero e proprio incubo per chi ne è vittima. Uno dei reati che si può incorrere se la gelosia si trasforma in ossessiva è quello di "Maltrattamenti contro familiari o conviventi". Il primo comma dell’articolo 572 del Codice penale, infatti, sancisce che:
"Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni".
Attraverso una recente sentenza, la n. 32781/2019, la Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente sulle conseguenze e sui conseguenti reati relativi alla gelosia ossessiva.
La vicenda
Un uomo era stato assolto dal reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della sua convivente. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Ravenna, però, aveva proposto ricorso presso la Corte di Cassazione. Il PM, infatti, "denuncia l’erronea applicazione della legge penale, con riguardo alla nozione di maltrattamenti. Rileva, dopo ampia ricostruzione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato e degli altri testi escussi, che le condotte accertate sono state ricondotte, operandone una lettura riduttiva e frazionata, a comportamenti tipici della fine di una relazione ovvero in termini di condotte dettate da gelosia ossessiva ma trascurandone il contenuto violento, agito, oltre che attraverso atti ricorrenti atti di minaccia, mediante controllo maniacale della campagna (attraverso telefonate, controlli con GPS, estenuanti interrogatori notturni, telecamere nascoste, controllo dell’igiene personale) ed atteggiamento di disprezzo, denigrazione della compagna, coinvolgendo anche le figlie minori".
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha deciso di annullare la sentenza. I giudici ricordano che nella sentenza impugnata le continue telefonate, i messaggi inviati, le numerose videochiamate per verificare dove si trovasse la donna, le minacce di morte a lei e al suo potenziale amante, venivano qualificati come "episodi di gelosia e comportamenti tipici della fine di una relazione sentimentale", escludendo la loro rilevanza penale.
Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, in accordo con il Pubblico Ministero, questa lettura dei fatti è "riduttiva e non esaustiva ai fini della individuazione della condotta di maltrattamenti". I giudici, infatti, hanno sottolineato che "anche comportamenti fisicamente non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, raggiungono la soglia della rilevanza penale ai fini del reato di cui all’art. 572 cod. pen. quando si collochino in una più ampia e unitaria condotta abituale idonea ad imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile”. Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha sottolineato che "I comportamenti di controllo della vita sociale e intima della persona offesa non perdono la loro valenza invasiva e la loro carica di vessatorietà sol perché determinati dalla gelosia […]".
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