Separazione: appropriazione indebita se non si restituiscono i beni all’ex

La Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso di una donna che si era appropriata dei beni dell'ex coniuge.

19 DIC 2018 · Tempo di lettura: min.
Separazione: appropriazione indebita se non si restituiscono i beni all’ex

Una recente sentenza della Corte di Cassazione conferma che se ci si appropria dei beni dell’ex coniuge si può incorrere nel reato di appropriazione indebita.

Secondo l’articolo 646 del Codice Penale, commette il reato di appropriazione indebita “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro”. Questo reato è commesso anche dall’ex coniuge che, dopo la separazione, non vuole restituire i beni di proprietà dell’altro coniuge.

A confermarlo nuovamente è stata una recente sentenza, la numero 52598/2018, della Corte di Cassazione, seconda sezione penale.

Il caso

La Corte d’Appello Lecce, con la sentenza del 17 di maggio del 2017, in parziale modifica a quella pronunciata dal Tribunale di Brindisi il 30 giugno del 2014, confermava la condanna di una donna per il reato di appropriazione indebita dei beni dell’ex coniuge, così come sancito dall’articolo 646 del codice penale. Durante il processo di primo grado, infatti, la donna era stata condannata e, per questo, aveva presentato appello, chiedendo l’assoluzione perché, secondo la difesa, il fatto non sussiste.

L’imputata, infatti, si era appropriata di alcuni beni di proprietà dell’ex coniuge, dopo la separazione, rifiutandone la restituzione. La donna si è difesa affermando che la querela, sporta quasi due anni dal provvedimento di separazione che autorizzava l’ex marito a prendere i propri beni personali, sarebbe stata tardiva. Per questo, in seguito alla condanna della Corte d’Appello, l’imputata ha deciso di proporre ricorso presso la Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Con la sentenza numero 52598/2018, i giudici della Corte di Cassazione, seconda sezione penale, hanno sancito che il ricorso della donna è inammissibile. Gli ermellini, infatti, hanno affermato che le osservazioni riguardanti la tardività della querela sono prive di fondamento. L’introversione del possesso, infatti, è stata determinata solamente nel momento in cui l’ex coniuge ha comunicato che avrebbe ritirato i beni. Ciò vuol dire che non è stata determinata al momento della separazione ma dal momento in cui la donna si è negata a restituire i beni, svuotando il locale dove si trovavano proprio per impedire al coniuge separato di tornarne in possesso.

I giudici della Corte di Cassazione, di conseguenza, hanno sancito che: “La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella de giudice di primo grado, ha infatti fornito congrua risposta alle generiche critiche contenute nell’atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale” e conferma la sostanziale credibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono state confermate anche da un testimone e dalle stesse parziali ammissioni dell’imputata.

Per questi motivi, gli ermellini hanno dichiarato inammissibile il ricorso e hanno condannato la donna al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende.

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