Conflittualità lavorativa mobbing e straining
La conflittualità lavorativa esclude le fattispecie del mobbing e dello straining in mancanza di elementi probatori o di indizi gravi precisi e concordanti che forniscano una prova presuntiva dei fatti
La Corte d cassazione sezione lavoro, con sentenza n. 29059/22 rigetta il ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli, la quale confermando la sentenza del Tribunale di Nola, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni per mobbing proposta nei riguardi del Comune dalla lavoratrice gia' responsabile dei servizi finanziari e poi trasferita ai servizi sociali e cimiteriali;
la Corte di merito, pronunciando anche nel contraddittorio con gli Assicuratori dei Lloyd's, ha escluso che vi fosse stata prova dell'intento lesivo, sostenendo che esso risultava incompatibile con l'esistenza di comportamenti asseritamente dannosi, ma ascritti a due diverse compagini amministrative, il cui convergere in un medesimo atteggiamento persecutorio non era spiegabile.
quanto al ricorrere di "sgradevoli affermazioni" da parte del Difensore Civico verso la ricorrente, la sentenza di appello ha ritenuto l'inidoneita' di esse ad interferire in modo significativo con l'attivita' di un'articolazione comunale di rilievo come il servizio finanziario, rispetto al quale quella figura era priva di poteri diretti;
la Corte distrettuale riconosce come in effetti la Corte dei Conti abbia criticato, nel decidere su profili contabili, l'assenza di motivazione del provvedimento con cui la lavoratrice era stata sostituta da altro responsabile ai servizi finanziari, ma ha anche rilevato come la medesima Corte avesse altresi' mosso censure all'attivita' dei servizi finanziari (inserimento in bilancio di entrate inesistenti; mancata emissione di avvisi di accertamento per un'annualita' di ICI) per un periodo in cui era stata la ricorrente la responsabile di esso;
i giudici di appello ne concludevano quindi che quella emersa era una accesa conflittualita' tra le parti, non trasmodata in condotta vessatoria;
infine, quanto al dedotto demansionamento, la Corte d'Appello ha ritenuto che la stessa Lavoratrice avrebbe riconosciuto la corrispondenza delle nuove mansioni alla qualifica di appartenenza ed anche i testimoni non avevano riferito nulla di decisivo nel senso rivendicato dalla ricorrente, mentre scarsamente provata era l'assenza di dotazioni per i servizi che la ricorrente doveva svolgere, rispetto alle quali non risultava neanche che essa si fosse attivata per ovviare alle difficolta' eventualmente esistenti;
la lavoratrice. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, resistito da controricorso del Comune e dei Lloyd's;
l'unico motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., e art. 112 c.p.c., ed esso si incentra sul rilievo per cui, pur in mancanza di un intento persecutorio, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare l'attuarsi di condizioni stressogene di lavoro e di nocivita' ambientale, riportabili alla fattispecie del c.d. straining, da ricostruire anche in via presuntiva e comunque valutando il disagio lavorativo e il demansionamento quali fonti di danni non patrimoniali maturati in pregiudizio della ricorrente, II tutto tenendo conto che, non essendovi stata pronuncia su tale profilo, si era determinata anche violazione dell'art. 112 c.p.c.;
la Corte di Cassazione ritiene il motivo infondato in quanto la Corte territoriale ha esaminato, con dovizia di dettagli ed ampia analisi dell'istruttoria, le circostanze di causa e ne ha concluso, con giudizio non raggiunto da specifiche e puntuali critiche, che di inadempimenti, cioè di demansionamento, sottrazione di mezzi di lavoro, accuse infondate, insubordinazioni di sottoposti indebitamente tollerate o incentivate, non erano state dimostrate dalla ricorrente, accertando solo l'esistenza di una "accesa conflittualita' tra le parti" non sviluppatasi in condotte vessatorie;
il motivo, come si e' detto, si incentra sul tema del c.d. straining, con riferimento all'obbligo datoriale di assicurare, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c., un ambiente idoneo allo svolgimento sicuro della prestazione, che dunque potrebbe non escludere l'inadempimento se il lavoro si manifesti in se' nocivo per la connotazione indebitamente stressogena (C. 2676/2021; C. 3291/2016);
in proposito, vanno pero' ancora richiamate le conclusioni di merito della Corte territoriale in ordine al fatto che "quello che con certezza risulta emergere dagli atti e' una situazione di accesa conflittualita' tra le parti... non... trasmodata in una condotta vessatoria da parte delle diverse amministrazioni comunali succedutesi nel tempo";
tali valutazioni di fatto, centrali nella ratio decidendi, delineano soltanto una situazione di forti divergenze sul luogo di lavoro e come tali non intercettano una situazione di nocivita', perché il rapporto interpersonale, specie se inserito in una relazione gerarchica continuativa e tanto piu' in una situazione di difficolta' amministrativa quale emerge dagli atti, e' in se' possibile fonte di tensioni, il cui sfociare in una malattia del lavoratore non puo' dirsi, se non vi sia esorbitanza nei modi rispetto a quelli appropriati per il confronto umano nelle condizioni sopra dette, ragione di responsabilita' ai sensi dell'art. 2087 c.c.;
l'esistenza di un disagio lavorativo, su cui la ricorrente insiste ripercorrendo anche i dati istruttori, non e' dunque decisiva, proprio perché alla base delle conclusioni assunte dalla Corte territoriale vi e' un giudizio di merito, non implausibile, che e' giuridicamente corretto;
l'apprezzamento dell'insussistenza dell'esorbitanza rispetto ad una situazione di conflittualita' interpersonale esclude altresi' che si possa ragionare in termini di omessa pronuncia, perché comunque l'accertamento .