Disconoscimento del riconoscimento di paternità cd di compiacenza
Favor veritatis e favor minoris - limiti temporali dell'azione.
Varie questioni sorsero in giurisprudenza sul riconoscimento cd di compiacenza.
Si segnala la sent. del Giudice delle leggi n. 50/06 che dichiarò incostituzionale l'art. 274 c.c., che prevedeva una disamina preliminare sulla ammissibilità dell'azione.
Ad avviso della S.C., poi, l'ammissibilità dell'azione era volta sia a tutela del convenuto contro azioni temerarie e ricattatorie sia del minore, il cui interesse è nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non pregiudichi il suo sviluppo (Cass n. 216/97). La pronuncia della CC del 2006 ha reciso dall'ordinamento giuridico il giudizio di ammissibilità, posto nel Codice del 1942. Si ritenne irragionevole tale giudizio, sia perché ostacolo al diritto di esercizio dell'azione, considerando che si tratta di tutela di diritti fondamentali attinenti allo status e alla identità biologica, sia perché in contrasto con la ragionevole durata del processo, sia perché, esprimendosi la delibazione con un decreto insuscettibile di passare in giudicato, si sarebbe potuto reiterare l'azione, compiendo quelle attività vessatorie che il legislatore del '42 intendeva evitare.
Il disconoscimento di paternità può essere operato per varie ragioni, quando vi è in buona fede un riconoscimento di paternità, quando vi è in mala fede un riconoscimento di paternità erroneo per assicurarsi una filiazione non altrimenti consentita naturalmente, nonché quando - è il caso di specie - si intenda riconoscere come figlio proprio un figlio altrui per compiacere una partner con la quale si abbiano legami. È di interesse la sentenza n. 8894/2016, pubblicata il 18/07/2016, della I Sezione Civile del Tribunale di Napoli (Pres.dott. Imperiali, GR dott.ssa Minucci) con cui si è affrontata la tematica, a fronte della domanda di un attore, che sosteneva di essersi coniugato con una cittadina ucraina, che voleva avere in Italia il figlio rimasto in Ucraina, così sollecitandolo a fornire in Ucraina il proprio cognome al bimbo, per facilitarne il soggiorno in Italia.
Il coniuge, ignorando lingua e leggi ucraine, aveva firmato in Ucraina dei moduli, ritenendo di poter fornire così il proprio cognome al bimbo; poi in Italia si era reso conto che era stata rilasciata certificazione che lo indicava come padre del minore. Il Tribunale ha osservato che, nel giudizio di separazione, la moglie ammetteva che il figlio non era dell'attore e che in validi esami sul Dna del bimbo e dei genitori, era risultato che l'attore non era il padre. In sentenza si richiama l'orientamento della Consulta, che ha ritenuto (sent. 112/97) come il legislatore abbia privilegiato il favor veritatis in funzione della certezza dei rapporti di filiazione e come la tutela della verità sia da intendersi anche in relazione alla necessità di impedire che, attraverso atti fraudolenti, siano eluse le norme di adozione.
Il Giudice delle leggi aveva affermato che non era possibile "contrapporre al favor veritatis il favor minoris, dal momento che la falsità del riconoscimento lede il diritto del minore alla propria identità". Tuttavia si poneva nell'ordinamento il tema della mancanza del limite temporale all'esercizio dell'azione di cui all'art. 263 c.c. , con la conseguenza di ledere l'equilibrio del minore in rapporti ormai consolidati. Inoltre si controverteva sulla ragionevolezza di un disconoscimento di chi avesse agito in mala fede al momento del riconoscimento. A tali dispute ha posto termine il d.lgs 154/2013, che consente ora di proporre l'azione del soggetto che ha compiuto il riconoscimento nel termine di un anno decorrente dal giorno dell'annotazione sull'atto di nascita, a meno che non abbia ignorato la propria impotenza e in tal caso nel termine di 5 anni dal momento di tale consapevolezza (mentre imprescrittibile è l'azione per il soggetto riconosciuto o di un anno dalla cessazione dell'incapacità psichica, nda). Inoltre il Collegio ha ritenuto che il novellato art. 263 c.c. debba interpretarsi nel senso che l'azione di disconoscimento ha come presupposto la mancanza del vincolo biologico della filiazione, a nulla rilevando la buona o cattiva fede dell'autore del riconoscimento, riservando all'ipotesi della buona fede il termine di 5 anni dal momento della conoscenza della propria impotenza all'atto del concepimento.
Infine, il Tribunale, accogliendo la domanda attorea demanda al PM i reati ex art. 567 II co. c.p. e 495 II co. c.p. Il tema è certo delicato ma i nuovi indirizzi normativi e la giurisprudenza che va consolidandosi offrono strade più sicure agli operatori del diritto.