La diffamazione sui social network
La diffamazione sui social network è ormai il reato più gettonato nella nuova realtà virtuale. Vediamo quando si realizza e come tutelarsi.
Nell'era dell'informatizzazione, i c.d. "illeciti 2.0" sono all'ordine del giorno.
Il reato più gettonato nella nuova realtà virtuale è certamente quello di diffamazione previsto e punito dall'art. 595 c.p., rispetto al quale l'utilizzo della rete non solo non esclude la responsabilità, bensì la aggrava, come si dirà in seguito.
Secondo il disposto di cui all'art. 595 c.p. risponde del delitto di diffamazione "chiunque, fuori dei casi indicati dall'articolo precedente [che punisce l'ingiuria, ossia il fatto – depenalizzato - commesso da "chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente"] comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione".
Gli elementi essenziali affinché possa dirsi realizzato il delitto di diffamazione sono dunque i seguenti.
- L'offesa deve essere arrecata in assenza della persona interessata (altrimenti si realizzerebbe la diversa ipotesi dell'ingiuria), ovvero senza che quest'ultima abbia modo di percepirla direttamente.
- l'offesa, che può realizzarsi con ogni mezzo (parole, scritti, immagini o disegni ecc.), deve essere volta a ledere la reputazione di un soggetto determinato o quantomeno determinabile.
- l'offesa deve avvenire comunicando "con più persone": è richiesta la presenza di almeno due persone quindi, anche se non necessariamente in modo contestuale.
- l'offesa deve essere percepita in quanto tale dai destinatari.
- l'autore dell'offesa deve essere consapevole di usare espressioni offensive, anche se non rileva il suo intento.
Tale reato è punito più aspramente in tre ipotesi descritte dalla legge:
a) quando l'offesa non è generica, bensì consiste nell'attribuzione all'offeso di un fatto determinato;
b) quando il delitto è commesso col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [e quindi anche col mezzo del web, che consente di comunicare l'offesa con una pluralità elevatissima di persone e con tempistiche pressoché immediate], ovvero in atto pubblico;
c) se l'offesa è rivolta a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.
Veniamo ora ad approfondire le specifiche problematiche proprie della diffamazione commessa tramite web.
La Corte di Cassazione ha anzitutto avuto modo di precisare come, sebbene il delitto di diffamazione si perfezioni solo con la percezione dell'offesa da parte di più persone, con la semplice pubblicazione in rete (ed in particolare sui social-network) dell'offesa questa si presume percepita da una pluralità di persone, almeno fino a prova contraria. Il messaggio immesso sulla rete viene infatti poi percepito da una moltitudine di persone con effetto pressoché immediato.
Si è inoltre chiarito, una volta per tutte, come la diffamazione on-line non soltanto costituisca reato al pari di qualsiasi altra diffamazione commessa mediante altri mezzi, bensì risulti addirittura aggravata. La rete rappresenta, infatti, quel mezzo di pubblicità che ai sensi del terzo comma dell'art. 595 c.p. aggrava il delitto in questione. La rete internet, infatti, ha un'enorme capacità diffusiva delle informazioni e, pertanto, quando vengono in gioco messaggi di tipo offensivo, è evidente come l'offesa alla reputazione della vittima diventi particolarmente grave.
A ciò occorre aggiungere che "la rete non dimentica", difatti le informazioni pubblicate in rete diventano pressoché impossibili da eliminare e vi possono circolare per un tempo indefinito, continuando così a ledere la reputazione dell'offeso.
Occorre peraltro ricordare come la circostanza di non indicare espressamente il nominativo della persona a cui si indirizzano le offese non escluda la responsabilità, essendo sufficiente che l'identità della vittima sia determinabile in base alle informazioni che si pubblicano, anche solo da una ristretta cerchia di persone che magari la conoscono direttamente.
Infine, è bene tener presente che può incorrere nella commissione del delitto di diffamazione non soltanto chi scrive e pubblica sul social-network un messaggio dal contenuto diffamatorio, bensì anche chi, mettendo un like o condividendo un post sulla propria bacheca concorre consapevolmente a dare maggiore risalto in rete all'offesa. Ai sensi dell'art. 110 c.p., infatti, realizza il reato non soltanto chi commette la condotta tipica indicata dalla legge come illecita, bensì anche "chi vi concorre" mediante altre tipologie di condotte idonee ad aggravare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma.
Occorre quindi fare attenzione quando si condividono "post" altrui, perché si corre il rischio di essere chiamati a rispondere in concorso con il soggetto autore del post!
Meritano poi di essere analizzate le ipotesi in cui la diffamazione, sia quella commessa on-line che quella realizzata con altri mezzi più tradizionali, non è punibile.
Innanzitutto, va ricordato che la diffamazione è un reato procedibile a querela di parte. Ciò significa che l'autore del reato non può essere processato e neppure punito per questo reato finché la persona offesa non l'abbia querelato, ovvero non abbia chiesto espressamente all'Autorità Giudiziaria, entro il termine perentorio di tre mesi dalla conoscenza del fatto, di perseguire l'autore.
Inoltre, va tenuto presente che l'art. 599 c.p. esclude la punibilità di questo reato nelle ipotesi di c.d. "provocazione", ovvero quando l'offesa alla reputazione sia stata provocata dal fatto ingiusto altrui, nello stato d'ira immediatamente successivo.
Infine, merita di spendere qualche considerazione la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di critica.
È infatti evidente come in un regime democratico, entro certi limiti, il diritto dei cittadini di esprimere la propria opinione, anche in termini critici per gli altri, debba essere tutelato. La Corte costituzionale ha così definito i limiti entro i quali la diffamazione può essere giustificata dall'esercizio del diritto di critica nei termini che seguono:
a) l'informazione data deve avere una qualche utilità sociale e non deve quindi trattarsi di un fatto meramente privato;
b) l'informazione deve risultare veritiera;
c) la critica deve essere espressa con linguaggio civile e non trasmodare in insulti gratuiti.
In presenza di queste condizioni, pertanto, l'offesa alla reputazione altrui non integra il delitto di diffamazione.
Tutela per la vittima della diffamazione
Alla luce di quanto esposto, appare chiaro come la pubblicazione e diffusione su Facebook di contenuti che offendono l'onore, la reputazione e il decoro di un utente integrano responsabilità da fatto illecito, da cui deriva l'obbligo di risarcimento del conseguente danno morale. Ciò premesso, come potrà provarsi nel processo l'esistenza di uno scritto o un filmato o un'immagine diffamatoria?
Occorre rilevare infatti come nella maggior parte dei casi il "post incriminato" venga cancellato dopo poche ore dal suo autore (o dallo stesso Facebook su segnalazione della vittima e dopo una attenta valutazione).
In tal caso, le ipotesi sono due.
La prima è quella in cui la vittima del post diffamatorio non sia stata tanto avveduta dal fare, prima della cancellazione, una stampa, uno screen-shot o una fotografia della pagina in cui era visibile il suddetto messaggio. In tal caso, l'unico modo che avrà la vittima per ricostruire la realtà storica sarà quello di avvalersi di uno o più testimoni. Questi ultimi, citati davanti all'Autorità Giudiziaria, potranno dichiarare quanto hanno visto, specificando il contenuto del post diffamatorio e il suo autore.
Ovviamente più saranno precisi (ad esempio, indicando la data in cui il PC ha visualizzato il post, il tempo in cui lo stesso è rimasto visibile ed eventualmente i commenti ad esso collegati), più la loro deposizione sarà credibile e convincente agli occhi del Giudice.
Occorre infatti ricordare che la prova testimoniale non obbliga affatto il Magistrato a decidere conformemente a quanto dichiarato dai testimoni. Il Giudice valuterà la deposizione resa secondo il proprio "prudente apprezzamento", il che significa in parole povere che egli attribuirà alle dichiarazioni del teste un valore da uno a dieci a seconda di quanto riterrà quest'ultimo affidabile.
Una seconda via per provare l'esistenza di un post diffamatorio, è – come sopra si accennava – quella di creare immediatamente una c.d. riproduzione meccanica del testo prima che lo stesso venga cancellato. Il che potrebbe avvenire facendo una stampa della pagina Facebook, magari conservando della stessa un file in jpeg o in pdf con uno "Screenshot" (archiviato in una pennetta usb), o facendo una foto della pagina visualizzata dal proprio PC, o ancora facendo un video con il proprio smartphone.
A tal riguardo, occorre ricordare che l'art. 2712 c.c. attribuisce efficacia di prova legale alle rappresentazioni fotografiche, informatiche e, in generale, ad ogni altra riproduzione meccanica dei fatti e di cose in essi riprodotte, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti e alle cose.
Tuttavia, poiché le informazioni tratte da una rete telematica sono per loro natura volatili e suscettibili di continua trasformazione, occorre che le stesse siano state raccolte con garanzia di rispondenza all'originale e siano riferibili ad un momento determinato. La necessità di fornire certezza al contenuto del documento e di attribuirgli c.d. data certa viene soddisfatta con la produzione di una copia conforme della pagina web.
La conformità della copia all'originale potrà essere attestata da un Notaio o da altro Pubblico Ufficiale a ciò autorizzato (ad es. un Segretario Comunale o un Cancelliere) sia con copia della pagina web su supporto cartaceo che su supporto informatico.
In particolare, per la copia su supporto informatico, il Notaio (o altro Pubblico Ufficiale) dovrà:
- eseguire la copia di tutte le informazioni visualizzate;
- apporre la attestazione di conformità, indicando: a) il browser; b) l'ora; c) eventuali certificati di sicurezza; d) l'indirizzo della pagina web, comprensivo di URL;
- apporre la firma digitale a tutti i file oppure associare tra loro i singoli file, ad esempio zippandoli, e apporre la firma digitale sul file zippato.
Per la copia su supporto cartaceo, il Notaio dovrà indicare: a) il sito internet; b) il tipo di browser utilizzato; c) la data e l'ora in cui la copia viene effettuata; d) i dati relativi ad eventuali certificati di sicurezza per la verifica dell'identità del sito.
Nel caso in cui la copia rilasciata non rispetti le suddette formalità, essa avrà la limitata efficacia probatoria di cui all'art. 2717 c.c., ossia varrà come "principio di prova per iscritto" come tale liberamente valutabile dal Giudice.
Un'ultima precisazione merita il tipo di tutela che si può vantare nel caso di post dal contenuto offensivo. Indubbiamente infatti si potrà procedere sporgendo una querela nei confronti dell'autore del testo incriminato, con conseguente giudizio penale nei confronti del colpevole. Ma tale causa avrà come unico effetto quello di portare alla comminatoria di una sanzione nei confronti del reo.
Se invece la vittima vuole conseguire un risarcimento del danno subito in conseguenza del post diffamatorio, essa dovrà anche costituirsi parte civile nel giudizio penale o intentare un autonomo giudizio in via civile.