L'esdebitazione tra normativa e prassi giurisprudenziale
Cos'è la "legge salva-suicidi"? Come funziona?
La legge n. 3/2012 ( detta anche "legge salva suicidi") ha introdotto nel nostro ordinamento la procedura, già nota in molti ordinamenti, del c.d. sovra-indebitamento, ossia quella "situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni".
Detta pratica, ancora poco applicata nei nostri Tribunali, permette a tutti coloro (sotto soglia) che non possiedono i requisiti indicati dall'art. 1 della Legge fallimentare, di poter regolarizzare, attraverso un organismo di composizione della crisi, la propria situazione debitoria attraverso tre distinte modalità, l'una alternativa all'altra. Prima di addentrarci nei meandri inesplorati di questa legge, occorre fare una premessa.
L'art. 1 della legge fallimentare prevede tre requisiti fondamentali che i soggetti esercenti un'attività commerciale (esclusi gli enti pubblici) devono possedere per poter accedere al fallimento o al concordato preventivo, vale a dire:
- avere un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo superiore ad euro trecentomila;
- aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo superiore ad euro duecentomila;
- avere un ammontare di debiti anche non scaduti superiore ad euro cinquecentomila.
Orbene, dal raffronto tra la suddetta legge fallimentare e la normativa ad hoc del sovra-indebitamento, vengono immediatamente in rilievo gli elementi distintivi che quest'ultima procedura possiede rispetto alla prima. Uno di questi è dato dal fatto che detta procedura si rivolge a tutti quei soggetti che non troverebbero spazio con la legge fallimentare, si pensi alle persone fisiche, ai liberi professionisti, alle società di persone o di capitali con attivo patrimoniale, ricavi o debiti inferiori alle anzidette soglie. Nella specie, la legge 3/2012 consente a tutti questi soggetti di poter stralciare in tutto o in parte i propri debiti con lo Stato o altri soggetti (pubblici e privati) attraverso la proposizione di un piano che a seconda dei casi è soggetto ad esclusiva approvazione o dell'autorità giudiziaria preposta o dei creditori. Tuttavia, qualora dette procedure non vengano accolte, dal giudice o dai creditori, l'esdebitato potrà comunque procedere alla liquidazione del proprio patrimonio.
Il sovra-indebitato, infatti, ha a disposizione tre procedure: il piano del consumatore, l'accordo con i creditori ed infine la liquidazione del patrimonio. Va precisato, altresì, che le persone fisiche possono beneficiare di tutte e tre le procedure, mentre le persone giuridiche possono avvalersi solo delle ultime due. Per cui il consumatore è senz'altro più avvantaggiato, poiché il piano del consumatore non richiede l'approvazione del 60% dei creditori essendo sottoposto solo al veto del giudice designato a trattare l'instauranda procedura.
Detto ciò, e tralasciando solo per ora gli aspetti procedurali della procedura in esame, occorre focalizzare la nostra attenzione sulla nozione di consumatore. Dalla lettura della legge sembrerebbe che solo le persone fisiche che abbiano contratto debiti per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale possano accedere al piano del consumatore. In tal senso, si è orientata in più occasioni la giurisprudenza, pressoché unanime, di merito, asserendo che la normativa in questione trovasse attuazione limitatamente ai soli debiti aventi natura privata, ossia debiti contratti per ristrutturare casa ovvero per aver aiutato i propri familiari per problemi di salute (cfr. Trib. Catania, decreto del 17.06.2014; Trib. Verona, decreto 08.05.2015), lasciando fuori i debiti derivanti da attività autonoma o imprenditoriale, i quali dovevano seguire necessariamente l'iter dell'accordo con i creditori o della liquidazione del patrimonio. Sennonché una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 1896/2016, secondo cui la natura dei debiti, privata, imprenditoriale o professionale, non preclude di fatto la possibilità di definire il debitore "consumatore", consentirebbe, dunque, anche in tali ipotesi l'accesso al summenzionato piano. Gli ermellini, con questo principio hanno voluto dare un'interpretazione più' elastica al contenuto dell'art. 6, comma 2, lett. b) della l. 3/2012, che circoscriverebbe la figura del consumatore a colui che intenda ripianare debiti preesistenti non sorti da attività di impresa o professionale, neanche in parte.
Per cui, detto orientamento colma un vuoto normativo dove l'accesso al piano consumatore è legato più alla natura dell'attività svolta dal soggetto indebitato anziché alla qualità dei debiti da risanare. Inoltre, lo stesso elimina gli ostacoli frapposti all'accesso di tutti quei soggetti che abbiano assunto obbligazioni composite e che vogliano in tal modo, cioè come consumatori, ristrutturarle. Ne consegue che un lavoratore autonomo o un professionista ben potrà avvalersi del piano del consumatore in presenza di crediti di natura mista, privati o legati ad attività di impresa, a condizione che questi ultimi rappresentino soltanto una minima parte del debito di cui si chiede la ristrutturazione. Per cui non ci resta che sperare di vedere come detto orientamento influenzerà, sempre più le prossime decisioni dei nostri Tribunali.