Mancato avviso di malformazione del feto e responsabilità medica
Gli Ermellini ribaltano la sentenza della Corte d'Appello e accolgono il ricorso di una coppia con un figlio affetto da malformazioni.
In Italia l'interruzione di gravidanza è regolata dalla legge n. 194 del 1978. Questo intervento può essere praticato nei primi 90 giorni. Tuttavia, secondo l'articolo 6 di questa legge, l'interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata anche dopo i primi 90 giorni nei seguenti casi:
"a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna".
Cosa succede se sussiste la mancata individuazione delle malformazioni presenti nel feto da parte dei medici e i genitori non sono stati in grado di esercitare il proprio diritto all'interruzione volontaria di gravidanza? Su questo tema è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza numero 25849/2017.
Il caso
Una coppia aveva citato in giudizio l'ospedale, richiedendo un risarcimento danni. Il figlio, infatti, con invalidità permanente del 100%, era nato in seguito all'errore dei medici che non avevano individuato la malformazione del feto e quindi non avevano dato l'opportunità alla donna di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza così come previsto dalla legge. La Corte d'Appello di Brescia non ha concesso il risarcimento danni in quanto, secondo i giudici, la coppia non aveva assolto "all'onere di provare che, ove informata delle malformazioni del concepito, si sarebbe determinato un grave pericolo per la salute della gestante e che la stessa gestante avrebbe deciso e ottenuto di interrompere la gravidanza" e che "le malformazioni di cui è affetto F.G., in quanto meramente scheletriche, non appaiono tali da far ritenere automaticamente sussistenti i requisiti imprescindibili per consentire l'interruzione di gravidanza dopo il primo trimestre". Per questo, la coppia ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione il ricorso è fondato. In disaccordo con la Corte d'Appello, infatti, gli ermellini hanno sottolineato che "in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d'interrompere la gravidanza ove fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale; quest'onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, i.e. che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale".
La Corte di Cassazione, inoltre, ricorda che la mancanza degli arti superiori rientra nelle gravi malformazioni citate dalla legge n. 194 del 1978, e che impedirebbe al bambino di espletare le normali attività: "è espressamente previsto che idonei a determinare "un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna" che legittimi l'eccezionale possibilità di farsi luogo, dopo i primi 90 giorni di gravidanza, alla relativa interruzione, sono "rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro", sicuramente sussistenti nel caso del F., nato privo di entrambi gli arti superiori".
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