Minore sottoposto al test del DNA per volontà paterna
Quando la madre di un minore rifiuta il test del DNA di quest'ultimo ed il padre di questo è costretto a fare causa, la madre paga tutte le spese giudiziali.
Con una recentissimasentenza del 10.05.17, il Tribunale di Milano, nell'ambito di un procedimento di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 c.c. (in sostanza il padre che aveva già riconosciuto una minore ha voluto verificare che tale minore fosse realmente sua figlia), ha condannato la madre della minore a rimborsare al padre le spese legali del procedimento giudiziario nonché a pagare,sempre al padre,un'ulteriore somma per la cd "lite temeraria", prevista dall'art. 96 comma 3 c.p.c. Questo articolo risponde ad una funzione sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori o del tutto strumentali, contribuendo così ad aggravare il volume del contenzioso. Nel caso concreto esaminato dal giudice, il comportamento processuale complessivo della madre è stato caratterizzato dalla colpa grave, per vari motivi: i) ha reso necessario il ricorso al giudice da parte del padre che aveva chiesto alla stessa di procedere all'accertamento del DNA in "via amichevole"; ii) all'esito dell'accertamento citato (con il quale è stata accertata la paternità della minore) eseguito dopo la prima udienza, la madre, invece di chiudere la causa, l'ha proseguita del tutto inutilmente nonostante la disponibilità del padre chiuderla; iii) ha proposto delle richieste pacificamente inammissibili (aveva domandato al giudice l'affido della minore nonché il pagamento di un assegno di mantenimento figli "dimenticandosi" di averlo già domandato in un altro procedimento in corso; aveva anche domandato di regolare la relazione tra i nonni e la minore da un lato "dimenticandosi" che in base alla legge tale domanda andava posta ad un distinto giudice, cioè il Tribunale per i Minorenni, e da un altro lato non ascoltando quanto riferito dal giudice durante l'ultima udienza); non ha accettato la proposta di conciliazione formulata dal Giudice (in base alla quale le parti rinunciavano alle proprie domande e ognuna si pagava il compenso del proprio avvocato).