Partecipazione ad associazione di stampo mafioso
Le condotte di mera contiguità, come la vicinanza o la disponibilità nei riguardi di singoli esponenti mafiosi, anche di spicco, non integrano il reato associativo.
Tizio veniva condannato in primo grado alla pena di anni otto di reclusione perché ritenuto partecipe di un sodalizio di stampo mafioso da decenni operante nella piana di Gioia Tauro.
Il Gup, invero, aveva ritenuto che l'aver l'imputato aiutato un componente della cosca mafiosa a darsi alla fuga per sottrarsi all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, l'essersi messo in contatto con i suoi familiari dopo la fuga e l'aver in precedenza ritirato, sempre nell'interesse del medesimo, un'autovettura, fossero comportamenti idonei a descrivere una condotta partecipativa al sodalizio criminoso.
La Difesa aveva lamentato l'ingiustizia della sentenza laddove non si era tenuto conto del fatto che tutti i comportamenti descritti in capo al ricorrente fossero riconducibili non già alla vita dell'associazione, bensì al rapporto di carattere personale intercorrente con uno dei partecipi. Si era altresì evidenziato come, sulla scorta di ormai consolidati principi giurisprudenziali, nessuna delle condotte descritte fosse funzionale alla vita dell'associazione.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza n°196/16, depositata il 3 marzo 2017, in accoglimento dei rilievi difensivi, riformava la sentenza di primo grado assolvendo l'imputato.
Conclusioni
La sentenza è interessante perché fa buon governo non solo di taluni principi enucleati dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale, anche recentemente, ha affermato (Cassazione, Sezione I, n. 25799 dell'8.1.2015) che la mera contiguità o disponibilità nei confronti di elementi di spicco di un'associazione per delinquere di stampo mafioso non è reato, bensì anche del principio di necessaria offensività delle condotte, ritenendo che quelle di "bassa manovalanza" siano ininfluenti sotto il profilo dell'apporto causale al sodalizio criminoso.