Stalking: sussiste il concorso con la violenza privata
Mano dura della Suprema Corte di Cassazione in materia di stalking: bastano due condotte di atti persecutori in un tempo ristretto ad integrare il delitto.
Proseguono le pronunce della Suprema Corte di Cassazione in materia di stalking e concorso di reati e si consolida il principio in forza del quale se c'è eterogenità tra i beni giuridici protetti da ciascuna norma incriminatrice, allora si profila un' ipotesi di concorso, con conseguente aumento di pena.
La Surpema Corte, invero, nella pronuncia in commento (Sezione V, 29 gennaio 2016), ha affermato la sussistenza del concorso tra il reato di stalking e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Il caso
Tizio, con condotte reiterate, minacciava di morte Caio per costringerlo a rilasciargli una somma di denaro - a suo dire sborsata per sostenere le spese per realizzare un disco - ed a stipulare un contratto discografico.
Orbene, dopo qualche tempo, estendeva la minaccia anche ai suoi genitori e, inoltre, diversificava la minaccia, questa volta consistente nella rivelazione di informazioni riservate relative alla sorella di Caio, ormai defunta, al vedovo, cognato di Caio, che gli avrebbero consentito di vincere agevolmente una causa civile pendente tra di loro.
La Corte di Appello aveva derubricato il delitto di tentata estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in concorso con il reato di atti persecutori, e la Difesa aveva interposto ricorso per Cassazione, sostenendo l'impossibilità di ritenere il concorso tra i due reati.
La decisione
La Suprema Corte, con la sentenza in commento (Sezione V, 20696/16 (29.1.2016 - 18.5.2016), ha dapprima precisato, in ordine al reato di stalking, che:
a) sono sufficienti anche due soli episodi di minaccia o molestia;
b) è sufficiente che le predette condotte siano consumate in un arco molto ristretto;
c) trattasi di reato abituale, dunque è necessario valutare la condotta persecutoria nel suo complesso;
d) dalla condotta persecutoria deve conseguire un mutamento di abitudini della vittima, ovvero un grave stato d'ansia o, ancora, un fondato timore per la propria o altrui (più correttamente: persona affettivamente legata alla persona offesa), incolumità;
Ha poi evidenziato, quanto al bene giuridico protetto, che scopo della norma è quello di tutelare l'individuo da condotte che ne condizionino la vita e la tranquillità personale.
Muovendo da tale assunto, la Corte ha poi ricordato come la giurisprudenza di legittimità abbia già affermato il concorso tra il delitto di atti persecutori ed altri reati, quali quello di violenza privata (Sezione V, n. 51718/14) - che protegge la libertà di autodeterminazione di azione - quello di diffamazione - quando la condotta diffamatoria costituisca una delle molestie costitutive dell'art. 612 bis c.p. (sezione I, n°19924) - e, ancora, con la contravvenzione prevista dall'art. 660 c.p. (molestia e disturbo alle persone), che protegge il turbamento alla pubblica tranquillità mediante l'offesa a quella privata.
Rilievi critici
La Suprema Corte non pare faccia buon governo del principio di assorbimento, che dovrebbe essere invece utilizzato per risolvere il fenomeno che si realizza tutte le volte in cui rispetto ad una medesima situazione di fatto convergono più norme (cd. Concorso apparente di norme).
Non v'è dubbio che, nel caso di concorso tra stalking e violenza privata (mutatis mutandis stesso discorso vale per il concorso con la contravvenzione disciplinata dall'art. 660 c.p.), identica sia la condotta materiale, che può consistere, per l'appunto, oltre che nella violenza, anche nella minaccia, utilizzata, esattamente come nel delitto di atti persecutori, al fine di coartare la libertà di autodeterminazione della vittima.
A nulla vale, ad avviso di chi scrive, il richiamo alla differenza di beni giuridici protetti, che legittimerebbe, secondo la Suprema Corte, l'opzione circa la sussistenza del concorso di reati.
La ragione è presto detta: il principio di consunzione è criterio di valore e ad esso si ricorre allorquando, (V. Fiandaca – Musco, Parte Generale, pag. 636, Ristampa 2005) per la commissione di un determinato reato. occorre porre in essere una certa condotta, che integra anche un altro reato, il quale ultimo finisce per essere assorbito nel primo secondo una valutazione normativo-sociale.
A ben vedere, pertanto, il reato di violenza privata, o quello di molestie, puniti rispettivamente dagli articoli 612 e 660 c.p., essendo elementi costitutivi del più grave delitto di atti persecutori, non possono che essere ritenuti assorbiti nel secondo, in forza del principio logico-valoriale secondo cui "il più contiene il meno".
Si auspica che un maggiore rigore nell'applicazione di principi fondamentali che presiedono all'applicazione delle norme penali, comporti un mutamento della giurisprudenza in senso più favorevole al reo.