Abrogazione dei reati ad illeciti civili statuizioni civili in appello
La Corte Suprema sui timori delle parti civili per i reati divenuti illeciti civili nei giudizi di appello. Le lacune dei decreti sulla depenalizzazione. Analogia per le statuizioni civili.
La sentenza n. 771/2016 della II^ Sezione Penale della Corte Suprema (Presidente dott. Fiandanese, Relatore Consigliere dott. Pardo) è intervenuta su un'evidente lacuna dei Decreti Legislativi attuativi della depenalizzazione, saggiamente pronunciandosi nel senso che le disposizioni di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 8/2016 (concernenti la trasmissione degli atti all'Autorità amministrativa, per i reati trasformati in illeciti amministrativi), che hanno previsto che il giudice dell'impugnazione si pronunci, nel dichiarare che il fatto non è più previsto come reato, sulle disposizioni e sui capi della sentenza che concernono gli interessi civili, debbano estendersi anche a tutti i reati, depenalizzati, ora divenuti illeciti civili.
È evidente che il legislatore – come spesso accade, purtroppo – è incorso in una evidente svista, nel procedere alla redazione del testo normativo, in quanto non ha alcun senso logico e giuridico che il giudice dell'impugnazione debba pronunciarsi sulle disposizioni e sui capi che concernono gli interessi civili, nel caso in cui il reato sia divenuto un illecito amministrativo, e non debba operare nello stesso modo quando il reato sia divenuto un illecito civile.
La disparità di soluzioni non trova alcuna giustificazione meritevole di condivisione e, pertanto, il Giudice di legittimità, stavolta saggiamente operando, per un'interpretazione sistematica, volta alla comprensione della ratio complessiva dell'ordinamento giuridico statuale, nonché analogica (consentita nel processo penale quando e se riferita alle statuizioni civili) ha affermato che le disposizioni, sopra richiamate, riguardanti la depenalizzazione dei reati ad illeciti amministrativi, debbano estendersi anche alla depenalizzazione dei reati ad illeciti civili.
Saggiamente la Corte Suprema ha indicato altresì che tale esito ermeneutico è dettato anche dalla evidente esigenza di non imporre l'aggravio di un secondo processo, in sede civile, quando già siano stati conseguiti risultati idonei a stabilire le statuizioni sul danno, (salvo – si aggiunge con nda – che il giudizio civile non debba proseguire per la concreta determinazione del danno) ed anche per evitare il pericolo, cui l'ordinamento deve sottrarsi, di un contrasto tra giudicati, in quanto non avrebbe senso che il giudice civile si pronunci poi in modo opposto alla pronuncia del giudice penale.
Il caso in oggetto ha riguardato una vicenda di danneggiamento semplice ex art. 635 cp, sulla quale si era pronunciato prima il Giudice di Pace di Tivoli e poi, in sede di appello, il Tribunale di Tivoli.
La pronuncia della Corte Suprema è quindi di particolare rilievo, in quanto tende ad estendere i suoi effetti in tutte le altre vicende processuali concernenti reati divenuti illeciti civili, nelle quali vi siano state pronunce in ordine alle statuizioni civili sul danno, anche con riferimento ad eventuali provvisionali ed altresì con riferimento a statuizioni sulla condanna alle spese e agli onorari delle costituite parti civili.
Il calibro degli effetti della pronuncia giurisdizionale in oggetto è quindi di particolare spessore e si iscrive, peraltro, in una linea interpretativa già seguita in altre vicende dalla Corte Suprema, sia in caso di "abolitio criminis" (cfr. Ord. n. 4266 del 20.12.2005 della V Sezione della Suprema Corte e Sent. n. 2521 del 21.1.1992 della VI Sezione della Suprema Corte), dove si osservava che l'eliminazione dell'ipotesi di reato penale non produceva l'eliminazione dell'illecito civile, con conseguenziale applicazione dell'art. 11 delle preleggi, che anche in caso di rimodulazione e riformulazione dell'ipotesi incriminatrice, come avvenuto per l'art. 319quater c.p. a seguito della L. n. 190/2012, anche quando le modifiche legislative avessero modificato in condotte lecite fatti di precedente penale rilevanza (cfr. Sent. n. 31957 del 25.1.2013 della VI Sezione S.C.), così come annotato anche nella ultima sentenza della Corte Suprema.
Vengono così fugati i dubbi e le preoccupazioni di tante parti civili, le quali avevano subito danni dai reati commessi, che hanno vissuto momenti di sofferenza per la lacunosa formulazione del testo normativo, con tremori che pare debbano essere definitivamente fugati dalla intervenuta sentenza della Corte Suprema.