Casa coniugale: a chi spetta dopo la separazione?
A chi spetta la casa coniugale dopo la separazione? Presupposti per l'assegnazione e revoca del provvedimento.
Il Legislatore non ha fornito una definizione di casa coniugale (o familiare), ma di prassi il termine viene utilizzato per far riferimento al centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, inteso in senso psicologico come nucleo domestico.
Conseguentemente, oggetto di assegnazione è il bene immobile presso il quale il nucleo famigliare ha convissuto stabilmente (così escludendo seconde case ovvero altri immobili di cui i coniugi potevano avere la disponibilità).
Questo tema è comprensibilmente uno degli argomenti di maggior conflitto tra coniugi, stante l'insorgenza di esigenze diverse e contrastanti: da un lato quella del coniuge non proprietario che desidererebbe continuare ad abitare presso la casa coniugale che è centro dei suoi affetti, dall'altro quella del coniuge proprietario che vorrebbe tutelare il suo diritto di proprietà.
Presupposti per l'assegnazione della casa coniugale
Presupposto per ottenere l'assegnazione della casa coniugale è il collocamento prevalente presso di sé del figlio minorenne ovvero la convivenza con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. Con l'equiparazione del figlio naturale al figlio legittimo, i principi per l'assegnazione valgono anche in caso di separazione dei conviventi di fatto.
La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione VI, n. 24473 del 2/12/2015, ha chiarito che l'assegnazione della casa coniugale è finalizzata alla tutela della prole, con lo scopo di garantire al figlio la possibilità di continuare a vivere nello stesso ambiente domestico in cui è cresciuto quando i genitori erano uniti, risparmiando al figlio stesso l'ulteriore trauma della perdita di un altro punto di riferimento quale la sua casa.
La giurisprudenza di merito e di legittimità è unanime, infatti, nello stabilire che l'assegnazione della casa familiare prevista dall'art. 155, comma 4, c.c. risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (tra le altre Tribunale Benevento, sezione I, 16/12/2015).
L'assegnazione è ovviamente gratuita; il coniuge assegnatario, infatti, non deve versare alcuna somma di denaro per poter abitare nella casa coniugale. Tuttavia dev'essere precisato che, in caso di assegnazione della casa, il Giudice tiene conto di ciò ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento del figlio. Come intuibile, infatti, l'assegnazione della casa coniugale in favore di uno dei due coniugi costituisce un sacrificio economico per il coniuge che deve lasciare l'immobile, costretto a sopportare spese per una nuova abitazione e, al tempo stesso, un vantaggio economico per quello che può continuare ad abitare nella casa.
La Corte di Cassazione, Sezione VI, con sentenza n. 25240 del 17/12/2015 ha precisato quanto segue:
«In tema di separazione personale dei coniugi, il godimento della casa familiare costituisce un valore economico - corrispondente, di regola, al canone ricavabile dalla locazione dell'immobile - del quale il Giudice deve tener conto ai fini della determinazione dell'assegno dovuto all'altro coniuge per il suo mantenimento o per quello dei figli».
Dunque il provvedimento di assegnazione dev'essere considerato una forma di prestazione in natura del mantenimento, posto che la casa costituisce una voce fondamentale del mantenimento della famiglia. Ciò non esclude, comunque, il diritto ad un assegno di mantenimento per il figlio.
È stato sollevato il problema se la convivenza di figli costituisca una condizione essenziale per l'assegnazione della casa coniugale ovvero se, viceversa, l'assegnazione possa essere disposta anche in assenza di figli.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale minoritario e via via sempre più abbandonato, l'assegnazione della casa coniugale non deve essere disposta solamente a garanzia e tutela dei figli, ma anche in casi particolari, quale ad esempio quello in cui il coniuge viva in stato di indigenza. L'orientamento prevalente e ormai consolidato, invece, ammette l'assegnazione della casa famigliare solamente in presenza di figli, individuando quale scopo la tutela del benessere psico fisico dei figli e non quello di tutelare il tenore di vita del coniuge con un minor reddito.
Del resto, la Legge 8/02/2006 n. 54, conosciuta come Legge sull'affido condiviso, ha introdotto nel codice civile l'art. 155 quater che recita: "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli".
In ogni caso, comunque, il Giudice ha potere discrezionale e, quindi, di decidere in merito all'assegnazione della casa coniugale valutando tutte le condizioni del caso concreto. Corre obbligo precisare che l'assegnazione della casa in favore del genitore collocatario del figlio avviene non soltanto in caso di proprietà dell'immobile (esclusiva di un coniuge o in comunione), ma anche in caso di locazione (nel qual caso il contratto si trasferisce al coniuge assegnatario) e di comodato.
Revoca del provvedimento di assegnazione
Il diritto di godimento della casa coniugale viene meno nel caso in cui l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa stessa, ovvero nel caso in cui inizi una convivenza more uxoria all'interno della casa o contragga nuovo matrimonio.
La revoca può essere disposta, altresì, laddove vengono meno i presupposti che giustificano l'assegnazione: per esempio, il raggiungimento della maggiore età e dell'autosufficienza economica del figlio o la morte del coniuge assegnatario.
Nel caso in cui il genitore assegnatario non lasci l'immobile al venir meno dei presupposti per il godimento dello stesso, l'altro genitore dovrà chiedere al Giudice la revoca dell'assegnazione. Si ricorda, tuttavia, che il Giudice ha sempre potere discrezionale ed il provvedimento è subordinato alla valutazione se tale decadenza comporta un pregiudizio per il minore.
Ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro il trasferimento di residenza o di domicilio, in presenza di figli minori. La mancata comunicazione implica l'obbligo al risarcimento del danno in favore del genitore che ha dovuto sopportare la difficoltà di reperire l'altro genitore.