Chiamate, messaggi e regali reiterati: è stalking?

L’imputato aveva messo in atto una serie ininterrotta di condotte vessatorie, protrattesi per due settimane e riconducibili al rifiuto della fine della relazione.

16 OTT 2018 · Tempo di lettura: min.
Chiamate, messaggi e regali reiterati: è stalking?

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso di un uomo condannato dai tribunali di primo e di secondo grado per atti persecutori.

Quando finisce una relazione, può capitare che il partner che è stato lasciato non si dia per vinto. Eppure, riempire di chiamate e messaggi l’ex non è sicuramente la scelta migliore né da un punto di vista affettivo, né tantomeno dal punto di vista penale. Mettere in atto comportamenti persecutori, infatti, in Italia è un reato punito dall’articolo 612-bis del codice penale.

Questa norma, infatti, si riferisce al cosiddetto “stalking” o “atti persecutori” e sancisce che:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Su questo tema di è nuovamente espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35790/2018. Ecco quali sono state le motivazioni dei giudici.

La vicenda

Un uomo è stato condannato sia dal tribunale di primo grado che dalla Corte d'appello di Milano per atti persecutori, in seguito alle prove e ai documenti valutati. L’imputato, infatti, dopo la fine della relazione, ha tartassato di telefonate e di messaggi per due settimane l’ex fidanzata, finendo per aggredirla. In più aveva cercato più volte di offrire diversi regali, sempre declinati, alla donna. Tuttavia, dopo la sentenza di secondo grado, l’uomo ha proposto ricorso presso la Corte di Cassazione “per avere la corte territoriale assegnato valore non conferente ai fatti, stravolgendo il senso ed il confine della vicenda processuale”. Secondo l’uomo, le sue azioni si sarebbero svolte solamente in un breve periodo di tempo e con il solo scopo di chiarire o di riprendere la relazione con la donna.

La decisione della Corte di Cassazione

Per la Corte di Cassazione, il ricorso dell’uomo è inammissibile. Secondo i giudici, infatti, sono infondate le censure riguardanti l’erronea applicazione dell’articolo 612 bis del codice penale denunciate dal ricorrente che evidenziava il “ristretto ambito temporale in cui sarebbero state  reiterate condotte solo moleste, ispirate dallo scopo esclusivo di ricomposizione della rottura della relazione o di chiarificazione definitiva”.

La Corte ricorda nella sentenza che, effettivamente, il delitto di atti persecutori si caratterizza anche per la reiterazione degli atti che assumono un’autonoma e unitaria offensività che causano che la vittima accumuli disagio e viva uno stato di prostrazione psicologica. Nonostante ciò, gli ermellini ricordano anche che “il delitto di atti persecutori è, difatti, configurabile anche quando le singole condotte siano reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo ambito temporale, pur solo in un giorno, costituisca la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice”.

Per questo motivo, i giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto corretta la sentenza della corte territoriale. Secondo le deposizioni testimoniali, infatti, l’imputato aveva messo in atto una serie ininterrotta di condotte vessatorie, protrattesi per due settimane e riconducibili al rifiuto della fine della relazione. L’imputato, infatti, ha eseguito telefonate, messaggi, regali e appostamenti insistenti, culminati in una violenta aggressione. La vittima, di conseguenza, ha maturato un perdurante stato d’ansia e di paura tale da indurla, dopo la denuncia, a lasciare la città e a rendersi irreperibile perfino ai suoi conoscenti.

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StudiLegali.com

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