Domicilio di soccorso e diritto agli alimenti
Assistenza ai non abbienti secondo il domicilio di soccorso in relazione al diritto agli alimenti, alla luce della Legge 328/00
Tra gli ultimi, nella nostra società, si trovano coloro che, per varie condizioni di marginalità, non hanno la possibilità economica di mantenersi e, allo stesso tempo, necessitano di accoglienza e sostegno in maniera così intensa da dover essere ricoverati in un Istituto (per anziani, per disabili, ecc.).
Ripescando tra le cose socio-giuridiche di cui mi sono occupato da neo laureato, trovo un quesito proposto da un Comune riguardo al rapporto tra il vecchio istituto del domicilio di soccorso e la disciplina del diritto agli alimenti, stabilita dal Codice Civile, con l'intervento recente operato dalla Legge Quadro sui servizi alla persona.
In base all'art. 6 comma 4 Legge 8 novembre 2000, n. 328, è indubbio che il Comune dell'ultima residenza (prima del ricovero in un Istituto) debba assumersi gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica. La ratio seguita dal legislatore è quella di non determinare un onere a carico di un diverso comune in ragione esclusivamente della sussistenza nel proprio ambito territoriale di strutture assistenziali e in proporzione alla capienza delle stesse; perciò non si vogliono, in un certo qual modo, "penalizzare" i comuni contenenti dette strutture e, al contrario, "premiare" quelli che ne sono privi ed i cui soggetti residenti che hanno bisogno di cure e/o assistenza sono costretti a rivolgersi altrove (Sent. n. 1230 Del 4 dicembre 2001 Sez. Brescia TAR Lombardia).
L'istituto del domicilio di soccorso è operante in base all'art. 72 della L. 17 luglio 1890, n. 6972, fino al 23 novembre 2000, data di entrata in vigore della L. 8 novembre 2000, n. 328, pubblicata sulla G.U. 13 novembre 2000, che – all'art. 30, comma 1 – abroga in maniera espressa l'art. 72 della L. 6972/1890. Essendo la L. 328/00 una Legge quadro, precedente la riforma costituzionale avvenuta con L. C. 18 ottobre 2001, n.3 che ha dato alle Regioni competenza esclusiva in materia di interventi e servizi sociali (una volta denominati "assistenza e beneficenza"), occorre esaminare cosa preveda la normativa regionale per poter avere una risposta definitiva sulle modalità di applicazione della responsabilità comunale per i non abbienti. Ad esempio, la L.R. Veneto 3 febbraio 1996, n. 5, (così come modificata dall'art. 102 della L. R. Veneto n. 5/00) stabilisce che "le prestazioni obbligatorie di natura sociale a favore di cittadini in stato di bisogno ed inseriti presso strutture residenziali gestite da istituzioni pubbliche o private, sono assicurate dalle medesime con spesa a carico del Comune presso il quale il cittadino ha la residenza ed è iscritto ai registri d'anagrafe e di stato civile al momento dell'ingresso nella struttura". (cfr. Sent. del 29 ottobre 2003, n. 5733 Sez. III TAR Veneto).
In buona sostanza, il principio affermato e abbastanza omogeneamente applicato vede attribuire al Comune dell'ultima residenza del cittadino in stato di bisogno, povero o indigente, gli oneri finanziari riguardanti la retta dell'Istituto di ricovero.
Tutto questo vale, ovviamente, esclusivamente nel caso in cui non vi siano soggetti ex art. 433 c.c. a cui poter richiedere di corrispondere le rette relative al ricovero in Istituto di soggetti quali disabili, anziani, ecc.
Concludendo, il sistema dell'assistenza dei non abbienti si fonda prioritariamente sul sostegno fornito dai parenti prossimi (rispettivamente: coniugi, figli, genitori, ascendenti, generi e nuore, suoceri, fratelli) ribadendo che la famiglia, almeno nel nostro sistema dei servizi sociali, è il principale e insostituibile soggetto produttore di welfare. In mancanza del sostegno familiare, è il Comune di ultima residenza, a prescindere dal luogo in cui si trovi l'Istituto di accoglienza, a doversi far carico degli oneri legati all'assistenza del non abbiente.