Dovere del datore di lavoro di proteggere la personalità del lavoratore dopo la fine del rapporto di lavoro
Fino a quando dura l'obbligo del datore di lavoro di proteggere la personalità del lavoratore dopo la fine del contratto di lavoro? Analisi di una recente sentenza del Tribunale federale.
Nell'ambito del diritto del lavoro, l'art. 328 cpv. 1 CO prevede, in capo al datore di lavoro, un preciso obbligo di rispettare e proteggere la personalità, la salute e la moralità del lavoratore: tale previsione normativa si situa all'interno del più ampio e generale principio di protezione del lavoratore sul posto di lavoro.
Di regola, il dovere di protezione del datore di lavoro inizia al momento della conclusione del contratto di lavoro ma non termina sempre con la fine del rapporto di lavoro: infatti, anche dopo lo scioglimento del contratto, il datore di lavoro continua a sottostare ad un divieto di lesione della personalità del lavoratore. Segnatamente, il datore di lavoro deve astenersi da ogni commento o giudizio falso o diffamatorio nei confronti del lavoratore che possa dissuadere altri datori di lavoro dall'assumerlo (DTF 130 III 699, consid. 5.1; DTF 135 III 405, consid. 3.2).
In una recente sentenza (TF 4A_231/2021), il Tribunale federale ha avuto modo di chinarsi sulla questione a sapere se il datore di lavoro che sconsiglia ad un altro datore di lavoro di assumere un ex-dipendente, leda il dovere di protezione di cui all'art. 328 CO.
Nella fattispecie in esame, il lavoratore ha notificato la disdetta di un contratto di lavoro di durata indeterminata, stipulando, contestualmente, un nuovo contratto con un diverso datore di lavoro. Tuttavia, ancora prima dell'inizio del nuovo impiego, il nuovo datore di lavoro ha a sua volta disdetto il contratto appena stipulato, adducendo quale motivazione una chiamata ricevuta dal precedente datore di lavoro, il quale avrebbe sconsigliato di assumere il lavoratore. Il nuovo datore di lavoro ha inoltre motivato il licenziamento con l'asserita incompetenza lavorativa del lavoratore, ciò che ha comportato una penalità di un mese nell'ambito delle indennità LADI. Il lavoratore ha così convenuto in giudizio il primo datore, postulando per il risarcimento del danno.
Il Tribunale federale, chiamato a stabilire se la telefonata al nuovo datore di lavoro da parte del precedente datore di lavoro costituisse una violazione dell'art. 328 CO, ha giudicato che la chiamata non aveva altro scopo se non quello di screditare il lavoratore, con l'intento di precludergli il futuro professionale, come accertato dalle precedenti istanze giudiziarie (consid. 5.2). Di conseguenza, il precedente datore di lavoro ha violato l'obbligo di protezione di cui all'art. 328 CO, ciò che rende esigibile un risarcimento del danno ex art. 97 CO.
Quo all'ammontare del risarcimento del danno, il lavoratore l'ha quantificato, in buona sostanza, nella differenza tra le indennità percepite dall'Assicurazione contro la disoccupazione (LADI) ed il salario assicurato, che avrebbe percepito presso il nuovo datore di lavoro, oltre alla mensilità di penalità inflitta dall'assicurazione.
Il Tribunale federale ha tutelato tale quantificazione, rilevando come sussista chiaramente un nesso causale adeguato tra la telefonata del precedente datore di lavoro a quello nuovo e la perdita del posto di lavoro, con conseguente lucro cessante. Il datore di lavoro precedente è così stato condannato al versamento dell'importo richiesto dal lavoratore a favore di quest'ultimo.
Di conseguenza, il datore di lavoro precedente si è reso colpevole di una violazione contrattuale seppure il contratto di lavoro fosse – di fatto – già concluso: l'art. 328 CO estende pertanto la sua portata anche al periodo immediatamente successivo alla fine del rapporto lavorativo. Il datore di lavoro non può pertanto danneggiare il futuro professionale del lavoratore comunicando informazioni false o fuorvianti a terzi e segnatamente ai nuovi datori di lavoro: tale condotta, seppur post-contrattuale, costituisce una violazione dell'art. 328 CO e comporta di conseguenza una pretesa risarcitoria del lavoratore.
Alla luce della decisione in esame, ogni datore di lavoro è tenuto a soppesare attentamente le eventuali referenze che sarà chiamato a comunicare a nuovi datori di lavoro: un giudizio troppo severo potrebbe infatti essere considerato lesivo della personalità del lavoratore, soprattutto laddove non si riesca a provare in modo chiaro e preciso la veridicità della valutazione. Un giudizio eccessivamente positivo e non corrispondente al vero potrebbe, per contro, ledere gli interessi del futuro datore di lavoro, il quale, a sua volta, potrebbe agire contro il precedente datore, per danno extra-contrattuale. Trattasi di un equilibrio delicato che richiede certamente una ponderazione del linguaggio da usare nonché dei metodi di valutazione dell'operato del lavoratore, che devono essere, per quanto possibile, oggettivi e misurabili.
Per qualsiasi chiarimento, restiamo a vostra disposizione.