IL PADRE CHE SI DISINTERESSA DEL FIGLIO
Va condannato al risarcimento del danno non patrimoniale il padre che si disinteressa del figlio nato fuori dal matrimonio, privandolo letteralmente della figura paterna sino in età adulta.
Va condannato al risarcimento del danno non patrimoniale il padre che si disinteressa del figlio nato fuori dal matrimonio, privandolo letteralmente della figura paterna sino in età adulta. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, con la recente sentenza n. 6199/2015, condannando un uomo al risarcimento della somma di 25mila euro a titolo di danno morale ex art. 2059 c.c. per essersi reso colpevole di totale assenza nei confronti del figlio nato dall'ex convivente, oltre al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla donna per la crescita dello stesso. Dalla vicenda emergeva che l'uomo non si era mai occupato del ragazzo (ventitreenne all'epoca dei fatti), concepito durante la convivenza more uxorio interrotta prima della sua nascita per la decisione del padre di lasciare la madre e occuparsi dell'altro figlio, avuto da una precedente relazione. Le cose non erano certo migliorate con gli anni, visto che il padre, pur promettendolo più volte, non aveva mai riconosciuto il ragazzo e si era totalmente disinteressato a lui, sia dal punto di vista affettivo che economico, fatta eccezione per qualche raro episodio. A seguito dei vani tentativi di riavvicinamento, alla fine la vicenda arriva in tribunale, davanti al quale madre e figlio chiedono sia il riconoscimento della paternità che la fissazione dell'obbligo del mantenimento (posto che il ragazzo non aveva raggiunto l'indipendenza economica), oltre al risarcimento del danno morale dallo stesso sofferto per l'assenza pressoché totale del padre nella sua vita e al rimborso delle spese sostenute per la sua crescita. Dato atto dell'avvenuto riconoscimento e fissato il quantum dell'assegno di mantenimento in 400 euro mensili, il tribunale si è pronunciato sulla richiesta di risarcimento danni, dando piena ragione al figlio, in quanto non vi è dubbio che il comportamento tenuto dall'uomo "integra pienamente un illecito produttivo di danni non patrimoniali risarcibili". Richiamando l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 3070/2015), ha affermato infatti il giudice meneghino che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio naturale "integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 c.c., di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole". L'obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli, ha precisato il giudice "è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore".Per cui, le giustificazioni inconsistenti fornite dall'uomo sul mancato riconoscimento, oltre ad un "ambiguo" comportamento che non ha fatto altro che illudere il giovane figlio, per poi lasciarlo nella più totale indifferenza, sono idonei "a causare un'indubbia sofferenza morale e psicologica" e ad integrare i presupposti per riconoscere un danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c. Danno che per il giudice milanese, sulla base di un criterio equitativo, tenuto conto delle difficoltà scolastiche ed extrascolastiche vissute dal figlio e della lesione dei suoi diritti fondamentali, è equo determinare in 25mila euro. Quanto all'istanza relativa al rimborso all'ex convivente della quota parte delle spese pacificamente sostenute per intero, per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio, nessun dubbio, infine, sul diritto di regresso, "sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 c.c. da interpretarsi però alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito nell'art. 1299 c.c.". Pertanto il quantum dovuto alla donna, per avere provveduto in via esclusiva per oltre 22 anni a sostenere le spese necessarie per il figlio, va stabilito in via equitativa in complessivi 132mila euro, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Tribunale Milano, sentenza n. 6199/2015