La SGR deve consegnare all'erede dell'investitore i documenti relativi agli investimenti
Con un provvedimento del 16.05.17 il Tribunale di Milano ha condannato una società di gestione del risparmio (cd SGR), facente parte di un importante gruppo bancario italiano.
Spiego brevemente cosa è successo. Il mio cliente, dopo il decesso della madre, ha bisogno di ricostruire la massa ereditaria materna per poi procedere con la divisione ereditaria. Esaminando i documenti ricevuti dalla banca il cliente inizia a sospettare che qualche altro coerede, più vicino alla madre, abbia sottratto dei beni materni riducendone quindi l'attivo.
Mi incarica quindi di richiedere alla SGR la documentazione relativa a dei fondi di investimento acquistati dalla de cuius tramite la banca collocataria. In seguito alla mia lettera, la SGR fornisce solo alcuni documenti mentre per altri documenti riferisce di non poterli consegnare in quanto vi sono dei dati di persone terze rispetto alla madre. Tale risposta rafforza il nostro sospetto di sottrazione dei beni. Provvedo quindi a richiedere nuovamente la documentazione mancante alla società di gestione del risparmio ma quest'ultima mi risponde di non poter fornire i documenti richiesti in quanto la normativa della privacy lo impedisce ma si dice disponibile a fornire tali documenti dietro ordine del giudice. Il mio assistito quindi mi incarica di depositare un ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere tale documentazione. Dopo l'emissione del decreto ingiuntivo di accoglimento della richiesta, tale provvedimento viene notificato alla SGR. Il mio cliente e il sottoscritto ci aspettiamo quindi di avere finalmente i documenti richiesti.
E invece no!
La SGR inizia il cd giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo cioè in pratica si oppone al decreto ingiuntivo sostenendo che alle SGR non si applica il termine decennale previsto l'art. 119 comma 4 TUB (Testo Unico Bancario o Decreto Legislativo n. 385/93) che invece si applica alle banche (..." 4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione."). Per le SGR, continua l'opponente, esiste una specifica norma ed in particolare l'art. 66 Reg. UE 231/03 il quale prevede un obbligo di conservazione della documentazione di soli cinque anni. Di conseguenza, visto che la richiesta stragiudiziale dell'erede risale ad un periodo superiore ai cinque anni dalla chiusura del rapporto contrattuale, quest'ultimo non ha alcun diritto a ricevere tale documentazione.
Vediamo però cosa prevede veramente l'art. 66 (obblighi in materia di conservazione delle registrazioni) citato dalla SGR:" ... tutte le registrazioni previste agli articoli 64 e 65 siano conservate per un periodo di almeno cinque anni. Tuttavia le autorità competenti possono imporre al GEFIA di conservare la totalità o talune delle suddette registrazioni per un periodo più lungo...".
La difesa avversaria ha inutilmente cercato di forzare l'interpretazione di tale norma non riportando anche l'avverbio "almeno" ("...periodo di almeno cinque anni ...") che quindi fissa un periodo minimo di conservazione (delle registrazioni delle operazioni di portafoglio, degli ordini di sottoscrizione e di rimborso) e non un periodo massimo di conservazione!
La SGR, dopo la conclusione di un contratto di investimento, è responsabile contrattualmente per dieci anni. Ergo i documenti devono essere conservati per almeno dieci anni. L'obbligo di conservazione dei documenti contrattuali da parte della SGR finisce soltanto con il decorso del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, a far data dalla chiusura (ex art. 2946 c.c.), non potendo sussistere successivamente alcun diritto contrattuale azionabile dal cliente. Una conferma arriva dalla Corte di Appello di Milano (sentenza n. 1796 del 2012) la quale ha statuito che: "Il contratto di conto corrente bancario, per sua stessa natura, costituisce la fonte della disciplina dei rapporti obbligatori tra le parti e, come tale, non può essere distrutto decorso il termine di dieci anni dalla sua sottoscrizione, qualora i diritti da esso nascenti non si siano prescritti".
Aggiungo poi che l'art. 2220 c.c. (rubricato "Conservazione delle scritture contabili") prevede che le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione.
Il Tribunale di Milano ha concesso la provvisoria esecutorietà (cioè ha ordinato alla SGR di consegnare i documenti individuati dal giudice, pena l'inizio dell'esecuzione forzata) di parte dei documenti richiesti dall'erede sulla base: a) dell'art. 66 Regolamento delegato (UE) 230/2013; b) dell'art. 35 decies TUF (Testo Unico Finanza o Decreto Legislativo n. 58/98); c) dell'art. 1375 c.c. che sancisce il principio di buona fede esecutiva.
Probabilmente l'elemento più forte utilizzato è stato l'art. 1375 c.c. Infatti, la SGR, nelle proprie difese, non ha mai scritto né provato di aver distrutto i documenti per la gravosità della conservazione né di averli persi per un qualche motivo ma ha invece confermato di avere tali documenti indicando quale unico ostacolo l'interpretazione del termine previsto dall'art. 66 Reg. UE 231/03. Il comportamento della SGR è stato anche contraddittorio in quanto prima della causa si era detta disponibile a consegnare i documenti dietro ordine del giudice e poi nel corso del procedimento giudiziario aveva cambiato idea non volendo più consegnarli.
Dopo il provvedimento qui commentato, la SGR ha spontaneamente provveduto a consegnare al sottoscritto i documenti di cui sopra.