Minacce su Facebook all’ex fidanzata: è stalking

In primo grado, nonostante le prove a carico, l'uomo era stato assolto.

28 AGO 2017 · Tempo di lettura: min.
Minacce su Facebook all’ex fidanzata: è stalking

Una sentenza della Corte di Cassazione conferma la condanna per un uomo che aveva minacciato e molestato in maniera reiterata la sua ex compagna.

Lo stalking è un fenomeno presente da sempre. Con l'avvento di internet e dei social network, tuttavia, questo reato è diventato ancora più frequente e semplice da mettere in atto. Per questo anche la Corte di Cassazione, V Sezione Penale, è tornata a pronunciarsi su questo tema. Secondo gli ermellini, infatti, chi si intromette nella vita privata di un'altra persona, attraverso email o social network, è colpevole del reato di atti persecutori.

Il caso e la sentenza

Nel caso in questione, un uomo stava rendendo la vita impossibile alla sua ex fidanzata, utilizzando minacce costanti, messaggi e ingiurie inviati attraverso posta elettronica, reti sociali e telefono. La situazione si era fatta così pesante da costringere la donna a trasferirsi a casa di sua madre. In primo grado, il Tribunale di Cremona, nonostante le prove a carico, aveva assolto l'uomo affermando che non era stato provato il collegamento fra il suo comportamento e lo stato ansioso della ex compagna.

La Corte di Appello di Brescia, invece, aveva deciso di condannare l'uomo secondo l'articolo 612 bis del Codice Penale, riguardante gli "atti persecutori", che nel primo comma sancisce:

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".

Secondo i giudici, infatti, la reiterazione delle minacce e delle molestie ha causato lo stato ansioso della donna che è stata costretta a trasformare le proprie abitudini di vita, ad esempio cambiando i suoi account online e la sua residenza. A ciò si aggiunge il disturbo post-traumatico confermato e diagnosticato dalla psicoterapeuta della vittima. La corte territoriale, dunque, in netto contrasto con il Tribunale di primo grado, ha confermato il nesso causale fra la condotta dell'uomo e lo stato ansioso della donna.

La sentenza n. 25940/2017 della Corte di Cassazione ha confermato la decisione presa in appello, ritenendo che il ricorso dell'uomo è inammissibile. Gli ermellini, infatti, hanno confermato la relazione causale fra le condizioni di salute della vittima e gli abusi e le molestie del suo ex compagno:

"Tuttavia, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il richiamo ai principi in tema di prova del nesso causale si è rivelato, nella motivazione della sentenza di assoluzione, avulso dagli elementi probatori, che, viceversa, fondavano sia una valutazione di astratta idoneità ad ingenerare paura (per le minacce profferite, e per i controlli a distanza operati anche mediante abusivi accessi informatici), sia una valutazione di concreta incidenza sul mutamento delle abitudini di vita, essendo stato accertato che la vittima, proprio in conseguenza degli accessi abusivi, era stata costretta a cambiare utenze telefoniche, indirizzi mail, e profilo Facebook, oltre all'abitazione".

Per questo, la Corte di Cassazione ha deciso che "alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00".

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