Inviare troppe visite fiscali? È mobbing

I giudici della Corte di Cassazione hanno deciso di rigettare il ricorso.

20 GIU 2019 · Tempo di lettura: min.
Inviare troppe visite fiscali? È mobbing

Una recente sentenza della Corte di Cassazione conferma l’ordinanza della Corte di Appello di Salerno che aveva sancito il risarcimento per una lavoratrice mobbizzata attraverso provvedimenti disciplinari ingiusti e reiterate visite fiscali.

Quando un lavoratore si assenta per malattia, può ricevere la cosiddetta “visita fiscale” (Visite Mediche di Controllo, VMC), ossia un accertamento medico che serve a evitare eventuali abusi. Tuttavia, se il datore di lavoro esagera, potrebbe incappare nel reato di mobbing. È ciò che ha sancito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 11739/2019.

La vicenda

La Corte di Appello di Salerno, nel 2017, aveva deciso di riformare la sentenza del Tribunale di Salerno, accogliendo la domanda di risarcimento di una docente di un Istituto Tecnico Commerciale nei confronti del datore di lavoro, ossia la dirigente scolastica, corrispondente a 27,918 euro per danno da mobbing. La Corte territoriale, infatti, rilevava una condotta mobbizzante nei confronti della docente o, quanto meno, “condotte vessatorie e mortificanti generatrici di responsabilità”.

Questi comportamenti della dirigente scolastica riguardavano provvedimenti disciplinari ingiustificatamente offensivi e degradanti. In più, alla docente venivano inviate continue richieste di visite fiscali per la verifica dell’assenza. La dipendente, infatti, era assente a causa di una patologia tumorale. “La denigrazione della professionalità della docente era assolutamente ingiustificata […]. Tali inaccettabili comportamenti oltre ad incidere, sia complessivamente che singolarmente, sulla dignità della lavoratrice avevano provocato danni alla salute, come riscontrato dagli accertamenti peritali disposti nel grado di appello”, si legge nella sentenza. Oltre alla dirigente, inoltre, di tale danno era responsabile anche l’amministrazione a causa dell’omessa vigilanza sulla sua condotta.

In seguito alla sentenza della Corte territoriale, hanno fatto ricorso presso la Corte di Cassazione sia il Ministero dell'Istruzione che l'Istituto Tecnico Commerciale, sottolineando l’assenza di un intento persecutorio e quindi di mobbing.

La decisone della Corte di Cassazione

I giudici della Corte di Cassazione hanno deciso di rigettare il ricorso. Gli ermellini, infatti, hanno ricordato che “ai fini della configurabilità del mobbing l’elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va cercato non nell’illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica”. La Corte di Appello di Salerno, infatti, ha positivamente accertato questo elemento, confermando che, nei confronti della lavoratrice, era stata attuata una condotta mobbizzante.

La dipendente, infatti, era stata sottomessa a sanzioni disciplinari e alla condotta della dirigente scolastica che era, come sottolineava la Corte territoriale “chiaramente non espressiva di un contrasto momentaneo ed episodico, ma frutto di un risentimento maturato nel tempo ed anche presumibilmente costante e reiteratamente manifestatosi”. Solamente in maniera aggiuntiva, la Corte di Appello di Salerno aveva ricordato che, “pur nella ipotesi di insussistenza di un intento persecutorio (mobbing), il giudice di merito era comunque tenuto ad accertare se alcuni dei comportamenti denunciati potessero essere considerati in sé vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, produttivi di responsabilità per i danno da questi patito alla proprietà integrità psico-fisica”.

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