Interposizione fittizia
Nessun reato commette chi, pur con l’intento di occultare la propria presenza all’interno di un’attività commerciale, non l’acquista ma ne diventa locatario.
Tizio veniva tratto in arresto e poi a giudizio per il reato di interposizione fittizia aggravata dall'avere agito per agevolare una cosca mafiosa.
La condotta addebitatagli era la seguente: non aver mutato la titolarità del ramo di azienda "ceduto" a due soggetti, uno dei quali mafioso che aveva interesse ad occultare la propria presenza all'interno dell'attività commerciale.
Il Gup aveva ritenuto Tizio colpevole e meritevole della pena di anni quattro di reclusione.
La Difesa aveva lamentato non solo l'ingiustizia della sentenza (insussistenza del reato, esosità della pena, mancata esclusione della circostanza aggravante), ma anche l'errore in diritto in cui era incorso il Gup. Costui, infatti, aveva indicato a supporto della sentenza di condanna un precedente della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale commette il reato di interposizione fittizia colui il quale cede in affitto a terzi un bene in precedenza confiscato allo scopo di occultare la proprio presenza.
La Difesa aveva evidenziato, in particolare, come nel caso di specie non fosse invocabile quella decisione, atteso che:
- era emerso dagli atti che Tizio aveva dato in affitto a Caio e Sempronio il ramo di azienda;
- che il predetto ramo d'azienda era stato realizzato con capitali leciti;
- che, dunque, la cosca mafiosa di riferimento di Caio, nessun investimento illecito aveva realizzato nella predetta attività commerciale.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza n°196/16, depositata il 3 marzo 2017, in accoglimento dei rilievi difensivi, riformava la sentenza di primo grado assolvendo l'imputato.
La sentenza è interessante perché chiarisce che l'affitto d'azienda creata lecitamente, se anche viene data in locazione a soggetto appartenente ad un sodalizio criminoso, non è reato.