La responsabilità medica legata anche alla luce della prevenzione della malattia
Esiste nesso causale tra l’omissione del medico ed il pregiudizio del paziente se l’azione corretta avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno?
Per la Corte si configura il nesso causale tra l’omissione del medico ed il pregiudizio del paziente se l’azione corretta avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno.
Questo è quando recentemente sancito dalla Suprema Corte con la recentissima sentenza 8641/2019.
La vicenda riguardava il decesso di una donna avvenuto in corso di causa per circostanze che, secondo i ricorrenti, andavano iscritte alla ritardata diagnosi di un carcinoma mammario da parte del medico chirurgo.
I giudici di legittimità in detta pronuncia richiamano i principi che governano il nesso causale nella responsabilità civile e ribadiscono la necessità di fare uso del criterio probabilistico per valutare se l’opera del medico, se correttamente e tempestivamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno poi verificato.
In tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, si precisa che integra l’esistenza di un danno risarcibile l’omessa diagnosi di un processo morboso allorché abbia determinato non solo la tardiva esecuzione di un intervento chirurgico, ma risulti altresì che, per effetto del ritardo, sia andata perduta dal paziente la chance di conservare, durante quel decorso, una migliore qualità della vita ( Cass. 4400/2004, Cass. 21619/2007, Cass. 26972/2008, Cass. 23846/2008,Cass. 21245/2012, Cass, 11522/2014, Cass. 7195/2014, Cass. 343/2016).
È stato, anche, affermato che “anticipare il decesso di una persona già destinata a morire perché afflitta da una patologia, costituisce pure sempre una condotta legata da nesso di causalità rispetto all’evento morte, ed obbliga chi l’ha tenuta al risarcimento del danno“. (Cass. 20996/2012)
La giurisprudenza sul punto è granitica. Il ritardo diagnostico è quindi incompatibile con la condotta che si attende dal professionista qualificato (in base al combinato disposto degli artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c), sul quale grava l’obbligo di adottare tutte le possibili precauzioni protettive in favore del paziente.
Il caso trattato dalla sentenza in esame richiama il tema di quel particolare danno che in dottrina e giurisprudenza viene definito “danno da perdita di chances”, intendendosi con ciò non solo la chance di sopravvivenza ma anche la possibilità di vivere meglio durante il decorso della malattia.
Nell’ambito medico la perdita di chance era stata ritenuta di dubbia applicazione secondo la considerazione per cui non era risarcibile il danno non patrimoniale nell’ambito dei rapporti contrattuali.
Orientamento poi superato e oggi la giurisprudenza ha precisato come la chance perduta sia un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.
La perdita di chance produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità dell’esistenza di detta chance(Cass. 11322/2003; Cass. 1752/2005; Cass. 7228/2006; Cass. 10840/2007, Cass. 12243/2007, Cass. 21245/2012).
La peculiarità di questo danno consiste nella possibilità di risarcire un danno futuro ed incerto, ma probabile, indipendentemente dall’avverarsi del pregiudizio, costituendo oggetto del risarcimento la chance perduta e non il danno effettivo.
Sostanzialmente, in materia di responsabilità professionale del medico, essendo questi tenuto a espletare l’attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice deve accertare l’omissione di tale attività e può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione sia stata causata dall’evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso.