Mantenimento al coniuge disoccupato
Orientamenti Suprema Corte per mantenimento coniuge: differenze tra separazione e divorzio. Valutazione dello stato di disoccupazione . Incidenza della specificità dei casi concreti.
La Corte Suprema - Prima Sezione Civile (Presidente dr. Genovese, relatore dr. De Chiara) - è intervenuta, in un giudizio di separazione - che bisogna ricordare possiede disciplina e ratio diverse da un giudizio di divorzio - per affermare che l'assegno di mantenimento sia dovuto anche al coniuge che aveva svolto un'attività lavorativa ma poi sia rimasta disoccupata, quando non comprovato in giudizio che avrebbe potuto fruire di una "effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche", richiamando un analogo orientamento espresso in tre precedenti sentenze della Suprema Corte (Cass. 3502/2013, 18547/2006, 6427/2016).
È significativo notare che la Suprema Corte, anche in linea di principio, traccia la necessità di ancorare le statuizioni alla valutazione di ogni singolo caso concreto. Ciò significa che, se da un lato non può essere escluso l'obbligo del mantenimento per ogni coniuge che abbia già avuto un lavoro e poi lo abbia perso, d'altra parte non può neanche ritenersi che in tal caso sia sempre ammissibile la richiesta di mantenimento, in quanto, caso per caso, si deve tener conto delle concrete condizioni del mercato del lavoro nelle diverse aree geografiche e delle concrete potenzialità di svolgere un'attività retribuita da parte dell'istante. Invero l'attenzione alla specificità dei singoli casi si è riverberata con tutta evidenza anche nell'esame delle altre questioni nella vicenda in oggetto (e in verità gli osservatori della giurisprudenza dovrebbero sempre aver presente che le decisioni giudiziali non derivano soltanto dall'applicazione dei principi enunciati nelle norme giuridiche ma anche dalla valutazione delle particolari conformazioni che presenta ogni vicenda specifica). Infatti la Suprema Corte, confermando l'orientamento che era stato espresso dalla Corte d'Appello di Venezia, ha ritenuto che nel caso di specie fosse giusto condannare il marito a un assegno di euro 650 per il mantenimento della moglie, che peraltro doveva pagare le rate di un mutuo ipotecario, per cui di certo ha comunque giuocato un peso nella vicenda la circostanza che, detratto il costo della rata del mutuo, alla moglie poi restasse solo una somma modesta.
Peraltro significativamente era emerso nella vicenda processuale la inaffidabilità della dichiarazione dei redditi del coniuge, promotore finanziario, che aveva dichiarato un reddito netto di euro 1.375 mensili mentre dagli atti si evinceva che aveva una spesa di circa 2.000 euro mensili, oltre ai costi dell'ufficio, per l'assegno di mantenimento versato a favore delle figlie, le rate del mutuo ipotecario nonché per i canoni di locazione sia per l'abitazione che per l'ufficio e che, inoltre, in precedenza, poco prima, non aveva avuto difficoltà ad accettare in sede di separazione consensuale un assegno di euro 1.500 mensili per il mantenimento della moglie e delle figlie. Quindi, nella decisione, non solo si è affermato un giusto principio, quale quello dell'obbligo del mantenimento nel caso in cui il coniuge perda il lavoro e non sia stato ancora in grado di trovarne un altro, ma si è anche tenuto conto che a tale onere il coniuge potesse far fronte, dal momento che il volume delle sue spese superava di molto il reddito dichiarato e anche in considerazione del fatto che, poco prima, in sede di separazione consensuale, non aveva avuto esitazioni ad accettare di sobbarcarsi l'onere di un versamento mensile di euro 1.500, per la moglie e le figlie, di cui euro 650 per la sola moglie. Dal che si può constatare come in siffatta materia siano molti gli elementi che divengono oggetto di esame e valutazione per assumere decisioni ragionevolmente orientate verso il giusto.