Reato di stalking e sorveglianza speciale
Non tutti hanno accolto positivamente questa misura perché considerata troppo sproporzionata rispetto al tipo di reato in questione.
La legge 17 ottobre 2017, n. 161 intitolata “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate” ha sancito l’ampliamento dell’utilizzo delle misure di prevenzione per diversi reati, fra cui il cosiddetto “reato di atti persecutori”, conosciuto comunemente come “stalking”. Secondo l’articolo 612 bis del codice penale:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
In questo caso, infatti, dopo la legge 17 ottobre 2017, le misure di prevenzione contenute nel codice antimafia si applicano anche al reato di atti persecutori così come sancito dall’articolo 4. Non tutti hanno accolto positivamente questa misura perché considerata troppo sproporzionata rispetto al tipo di reato in questione, mettendolo alla pari di quelli come l’associazione per delinquere di stampo mafioso.
Uno dei casi che più ha attirato l’attenzione su questa questione è stato il Decreto emanato dal Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, il 9 ottobre 2018. In questo caso, infatti, i giudici hanno deciso di applicare le misure di prevenzione previste dalla legge 17 ottobre 2017 riguardanti il reato di stalking, ancor prima che l’imputato sia stato condannato per i fatti contestati.
Nella vicenda in cui è intervenuto il Tribunale di Milano, infatti, l’imputato era responsabile di diversi atti violenti, dalle percosse alle minacce di morte fino alle violenze sessuali nei confronti della sua ex. Nonostante le proteste della difesa che metteva in dubbio la costituzionalità del provvedimento, i giudici hanno deciso di mettere in atto la sorveglianza speciale dell’imputato per la durata di un anno e sei mesi e che gli proibisce, ad esempio, di “mantenersi in ogni caso ad almeno 1.000 metri di distanza da DJ e di allontanarsi immediatamente in caso di incontro assolutamente occasionale”.
I giudici, infatti, hanno ricordato che i dati in loro possesso mette in evidenza “la presenza di significativi elementi di rischio di reiterazione di condotte intrusive, aggressive e violente che pongono in una situazione di significativo pericolo la parte lesa”. In più, hanno aggiunto che: “In un Paese dove circa un quarto degli omicidi volontari riguarda casi di femminicidio – evento terminale spesso preceduto da attività persecutorie poste in essere dall’agente violento- e dove il 77 % delle vittime del delitto di atti persecutori risultano essere di sesso femminile, non appare certamente irragionevole o irrazionale, su un piano di lettura costituzionale, l’avere introdotto da parte del legislatore un ulteriore strumento di tutela sociale per il contenimento di forme di pericolosità diffusa da accertare secondo i parametri probatori sopra indicati”.
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