Danno tanatologico, biologico terminale e catastrofale: definizione, sentenze e criteri di liquidazione
Una delle questioni principali relative al danno tanatologico riguarda la sua risarcibilità. Per quale motivo? In questo caso la parte lesa coincide con il soggetto defunto e per questo motivo dovrebbe essere anche la persona
La categoria del danno non patrimoniale è stata affrontata ripetutamente dalla dottrina e giurisprudenza. A livello normativo, l'articolo di riferimento nel codice civile è il 2059, che stabilisce: "Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge".
All'interno del danno non patrimoniale rientrano svariate ipotesi, tra cui il danno biologico, il danno esistenziale, il danno alla vita di relazione e il danno tanatologico. Quest'ultimo rappresenta una categoria su cui la giurisprudenza si è espressa più volte, cambiando anche orientamento sulla sua risarcibilità.
Il fondamento normativo del danno tanatologico si trova nel codice civile, nell'art.2059 c.c., negli artt. 2 e 32 Cost, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e nella CEDU.
Una delle principali questioni relative al danno tanatologico riguarda la sua risarcibilità, poiché la parte lesa coincide con il soggetto defunto, il quale dovrebbe essere anche il beneficiario del risarcimento per la perdita del bene riconosciuto dall'art.2 della Costituzione.
La Suprema Corte ha affrontato in diverse occasioni la questione del risarcimento del danno tanatologico, negando che un soggetto defunto possa acquisire un diritto risarcitorio. La Corte ritiene che l'evento morte faccia venir meno la capacità giuridica necessaria per acquistare il diritto e trasmetterlo agli eredi, che possono ottenere solo un risarcimento per danno da perdita del rapporto parentale.
A sostegno di questa tesi, citiamo la sentenza n.1361/2014, che afferma che la lesione del bene vita al momento della morte farebbe sorgere il diritto al risarcimento, trasmissibile agli eredi. Tuttavia, con la sentenza n.15350 del 22 luglio 2015, le Sezioni Unite si riappropriano dell'orientamento precedente al 2014, stabilendo che il danno tanatologico non può maturarsi nella sfera giuridica del defunto per essere trasmesso agli eredi.
A supporto di tale orientamento si aggiunge la sentenza Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile - n. 22451 del settembre 2017, dove la Corte ha escluso il diritto del de cuius al risarcimento del danno biologico senza prova dello stato di coscienza della vittima.
La Suprema Corte ha stabilito che alla vittima può essere risarcita la perdita di un bene non patrimoniale se ancora in vita, poiché il presupposto per acquisire il diritto alla reintegrazione della perdita subita è la capacità giuridica individuabile solo in un soggetto esistente (art. 2 c.c., comma 1). Le Sezioni Unite hanno inoltre precisato che il danno tanatologico non è rimborsabile se il decesso è immediato o avviene dopo breve tempo dall'incidente, escludendo la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio.
Danno tanatologico, danno catastrofale e danno biologico terminale
Oltre al danno tanatologico, dottrina e giurisprudenza hanno trattato il danno catastrofale e il danno biologico terminale. Il danno catastrofale è configurabile quando la vittima di un illecito rimane in vita per un periodo di tempo, anche breve, legato quindi al danno tanatologico. È caratterizzato dalla sofferenza della vittima consapevole di dover morire in seguito all'illecito. Questo danno è riconosciuto quando la vittima è cosciente e la morte non è immediata.
Il danno biologico terminale si configura quando intercorre un periodo considerevole (in genere 100 giorni) tra la lesione e la morte della vittima, riferendosi alla perdita della vita in sé, mentre il danno catastrofale si riferisce alla sofferenza morale causata dalla consapevolezza della morte imminente.
Danno catastrofale e danno biologico terminale: criteri di risarcimento e orientamenti giurisprudenziali
Il risarcimento del danno catastrofale viene calcolato in via equitativa, tenendo conto dell'intensità straordinaria della sofferenza morale patita dalla vittima e dai congiunti, correlato alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, secondo criteri di proporzionalità e di equità. È trasmissibile agli eredi.
Il risarcimento del danno biologico terminale può essere effettuato sulla base delle Tabelle relative all'invalidità temporanea, in relazione alla menomazione dell'integrità fisica patita dalla vittima fino al decesso. Questo danno dà luogo a una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi e va considerato solo in relazione all'inabilità temporanea, adeguando la liquidazione alle circostanze del caso concreto.
Diverse sentenze hanno trattato il rapporto tra danno catastrofale e biologico terminale, come la Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 28989 del 2019, che ribadisce la non risarcibilità del danno del bene vita in sé, affermando che gli unici pregiudizi risarcibili iure hereditatis in caso di illecito mortale sono il danno biologico terminale e il danno catastrofale.