Dimissioni per giusta causa

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17 SET 2024 · Tempo di lettura: min.
Dimissioni per giusta causa

Le dimissioni per giusta causa configurano un'ipotesi particolare di dimissioni del lavoratore subordinato. In questo caso, infatti, il dipendente può recedere dal contratto in tronco, cioè può interrompere il proprio rapporto di lavoro senza obbligo di dare un preavviso al datore di lavoro.

Inoltre, qualora il dipendente sia impiegato in forza di un rapporto di lavoro a tempo determinato, egli può sciogliersi dal contratto prima della scadenza del termine solo ed esclusivamente in presenza di una giusta causa. Nel caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore oltre a non dover corrispondere l'indennità di mancato preavviso ha diritto a percepirla egli stesso, nonché a beneficiare dell'indennità di disoccupazione (a partire dal 2015 divenuta NASPI) qualora ne ricorrano i presupposti. Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l'esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l'indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l'accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell'importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

Nozione di giusta causa

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Si ritiene che il lavoratore possa rassegnare le dimissioni per giusta causa sia sulla base di fatti attinenti al rapporto di lavoro, che di fatti ad esso estranei. Nel primo caso, la circostanza rilevante consiste in un inadempimento contrattuale del datore di lavoro tanto grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Nel secondo, invece, la giusta causa viene ravvisata, a titolo esemplificativo, in un impedimento personale del dipendente che non gli permette di svolgere i propri compiti, oppure in talune circostanze particolari -connesse per esempio alla natura dell'attività lavorativa o all'ambiente di lavoro – che rendono la prosecuzione del rapporto di lavoro "intollerabile" per il lavoratore. Specificamente, tra le causali di dimissioni per giusta causa individuate dai giudici vi sono:

mancato o ritardato pagamento della retribuzione

omesso versamento dei contributi (purché non sia stato a lungo tollerato dal lavoratore)

comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente

pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore

c.d. mobbing

aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro

modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative

spostamento del lavoratore da una sede all'altra senza che vi siano "comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive" come richiesto dall'articolo 2103 del codice civile.

Inoltre, nel comma 4 dell'art. 2112 del codice civile è prevista un'ipotesi espressa di dimissioni per giusta causa a favore dei dipendenti di un'azienda ceduta. In questo caso, il dipendente può interrompere il proprio rapporto di lavoro in tronco entro tre mesi dal trasferimento d'azienda qualora, in seguito ad esso, vi siano state delle "sostanziali modifiche" delle condizioni di lavoro, indipendentemente dal verificarsi di un evento formalmente qualificabile come giusta causa. Ciò può avvenire non solo in presenza di ciascuno dei casi individuati dalla giurisprudenza, ma anche conseguentemente alla sostituzione del contratto collettivo precedentemente applicato all'impresa. Infatti, è possibile che in seguito alla cessione venga applicato un nuovo contratto collettivo -di pari livello- che preveda delle condizioni di lavoro considerevolmente diverse rispetto a quelle applicate anteriormente. La modifica rilevante, in sintesi, non deve necessariamente riguardare le mansioni svolte dal dipendente, ma può sostanziarsi nel mutamento di una qualsiasi circostanza che incida significativamente sullo svolgimento della prestazione lavorativa.

La nuova procedura di dimissioni per giusta causa (in vigore dal 12 marzo 2016)

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Anche le dimissioni per giusta causa devono essere formalizzate, a pena di inefficacia, con la nuova procedura telematica prevista dall'art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015, ossia tramite appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente". Tale procedura si applica, infatti, a tutte le dimissioni rassegnate a partire dal 12 marzo 2016, indipendentemente dalla causale giustificativa. Le uniche ipotesi a cui la nuova disciplina non si applica sono le seguenti:

dimissioni durante il periodo di prova;

dimissioni nel rapporto di pubblico impiego;

dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza, della lavoratrice o del lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento; ai sensi dell'art. 55 del d.lgs. n. 151/2001, per tali soggetti le dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio (a detta convalida è sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto);

dimissioni in un rapporto di lavoro domestico;

dimissioni intervenute nelle sedi protette di cui all'art. 2113 del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 276/2003.

Il successivo decreto 15 dicembre 2015 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha specificato le concrete modalità operative attraverso le quali devono essere comunicate le dimissioni. In particolare, la procedura può essere attivata sia da un lavoratore che opera in autonomia, sia da un lavoratore assistito da patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali o commissioni di certificazione. In quest'ultimo caso, il dipendente può rivolgersi a qualsiasi soggetto abilitato presente sul territorio nazionale, non essendo necessario ricorrere a un intermediario della stessa provincia del datore di lavoro. Il lavoratore, se agisce autonomamente, deve:

richiedere il codice personale INPS (PIN INPS dispositivo), accedendo al sito dell'INPS. La procedura per il rilascio del PIN prevede che solo la prima parte del suddetto codice venga fornita direttamente online; la seconda parte, invece, viene spedita tramite posta raccomandata all'indirizzo di casa;

registrarsi al Ministero del Lavoro, accedendo al sito, per ottenere username e password;

accedere al sito del Ministero del Lavoro e compilare l'apposito modulo per le dimissioni;

inviare il modulo al proprio datore di lavoro tramite PEC e alla DTL territorialmente competente tramite posta elettronica ordinaria.

Nel caso in cui il lavoratore si faccia assistere da un soggetto abilitato, il possesso del PIN INPS e dell'utenza ClicLavoro non sono necessari, poiché è lo stesso intermediario che, utilizzando la propria utenza ClicLavoro, si assume la responsabilità di individuare il lavoratore e convalidarne le dimissioni. Per quanto concerne specificatamente le dimissioni per giusta causa, a partire da aprile 2016, in sede di compilazione dei moduli è possibile scegliere "Dimissioni per giusta causa" come tipologia di comunicazione, mentre in precedenza non si poteva specificare alcun tipo di causale. Nel caso in cui le dimissioni siano state comunicate quando non era ancora possibile selezionare tale opzione, esse saranno comunque valide e saranno i competenti uffici a verificare la genuinità della giusta causa.

La comunicazione di dimissioni

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Già prima dell'introduzione della suddetta procedura telematica, parte della giurisprudenza aveva chiarito come i giudici potessero verificare l'esistenza della stessa indipendentemente da una sua menzione espressa. Senza dubbio, invece, i motivi particolari che legittimano nel caso specifico le dimissioni non devono essere necessariamente indicati nella comunicazione. Per quanto riguarda le tempistiche, nel caso in cui la giusta causa consista in un inadempimento datoriale, le dimissioni devono essere presentate tempestivamente rispetto al verificarsi dell'evento: ciò non significa che la comunicazione debba essere effettuata senza soluzione di continuità rispetto a quest'ultimo, bensì che è opportuno procedervi all'interno del lasso di tempo necessario al formarsi della volontà del lavoratore di interrompere il rapporto. Inoltre, non è possibile dimettersi per giusta causa e continuare a svolgere la propria attività lavorativa posticipando l'effettiva interruzione del rapporto. Alcuni giudici, tuttavia, si sono dimostrati particolarmente sensibili a situazioni di difficoltà caratterizzanti il caso concreto sottoposto al loro esame, ammettendo un differimento dell'interruzione del rapporto di lavoro in casi eccezionali e per un breve lasso di tempo. Nella maggior parte dei casi, è però opportuno che il lavoratore valuti attentamente, con l'assistenza di un ufficio vertenze o di un avvocato esperto di rapporti di lavoro, sia l'effettiva fondatezza della giusta causa sia le modalità per giungere alla cessazione del rapporto di lavoro. In molti casi il datore di lavoro contesta, dopo le dimissioni, la sussistenza o rilevanza delle ragioni adottate dal lavoratore, che dunque può essere opportuno verificare o rafforzare (magari facendo precedere alle dimissioni una contestazione della condotta subita o una diffida ad adempiere). Altre volte, una attenta analisi del caso può condurre a ritenere che esistono strategie o strumenti alternativi, rispetto alle dimissioni, di migliore tutela degli interessi e dei diritti del lavoratore.

Effetti delle dimissioni per giusta causa

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Il lavoratore che rassegna le dimissioni per giusta causa diviene titolare di una serie di diritti:

l'indennità sostitutiva del preavviso, nel caso in cui si tratti di un rapporto a tempo indeterminato. In questo caso, il lavoratore ha diritto a percepire un'indennità economica rapportata alla retribuzione normalmente spettante che avrebbe dovuto essergli corrisposta durante il periodo di preavviso;

la Nuova prestazione dell'assicurazione sociale per l'impiego (NASPI) – nel caso in cui sussistano i presupposti. Infatti, nel comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 22/2015 si afferma che la NASPI viene erogata anche a coloro che hanno rassegnato le proprie dimissioni in presenza di una giusta causa. Il legislatore, dunque, ha espressamente aderito all'indirizzo interpretativo della Corte Costituzionale che già con la fondamentale sentenza n. 269/2002 aveva riconosciuto come in questo caso lo stato di disoccupazione conseguente alle dimissioni non dipendesse dalla volontà del lavoratore e, dunque, si fosse in presenza di un'ipotesi di disoccupazione involontaria legittimante la percezione della relativa indennità.

il risarcimento per il danno patrimoniale subito – nel caso di contratto a tempo determinato o a tempo indeterminato con una clausola di stabilità. Il risarcimento si calcola con riferimento alla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se il contratto non fosse stato interrotto prematuramente;

Il risarcimento per il danno non patrimoniale nel caso in cui la giusta causa di dimissioni si sia concretizzata anche in una obiettiva lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore.

Il datore di lavoro, invece, oltre a dover corrispondere l'indennità sostitutiva del preavviso, è anche tenuto a versare il contributo addizionale di recesso all'INPS in tutti i casi previsti dalla legge.

Scritto da

Studio Legale Avv. Cinzia Russo

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