Diritto all’oblio: il diritto a essere dimenticati
L'articolo 17 del Regolamento generale sulla protezione dei dati è fondamentale per il diritto all'oblio.
In un mondo in cui tendiamo sempre di più a condividere foto o altri dati personali, non bisogna dimenticarsi di un diritto fondamentale: il diritto all’oblio. Ultimamente, se n’è sentito parlare sempre più spesso in seguito all’entrata in vigore, il 25 maggio 2016, del Regolamento generale sulla protezione dei dati (General Data Protection Regulation, GDPR). Il primo comma dell’articolo 17 di questa normativa, infatti, sancisce che:
“L'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti […]”.
Anche l’Italia ha recepito il GDPR nella normativa statale, attraverso il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, apportando importanti modifiche al Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196). Ma cosa s’intende realmente con diritto all’oblio? È la possibilità che hanno i cittadini di decidere che i propri dati non vengano diffusi, ossia di salvaguardare la propria privacy. Di conseguenza, l’utilizzo di questo diritto può portare alla cancellazione dei propri dati, ad esempio, da un determinato sito internet. Il diritto all’oblio, però, si scontra e viene limitato da altri principi fondamentali come la libertà di espressione e di informazione.
Non è solo il Regolamento generale sulla protezione dei dati a contenere norme sul diritto all’oblio. Anche il “Testo unico dei doveri del giornalista” (in vigore dal 3 febbraio del 2016), nella prima parte dell’articolo 3 sancisce che il giornalista “rispetta il diritto all’identità personale ed evita di far riferimento a particolari relativi al passato, salvo quando essi risultino essenziali per la completezza dell’informazione […]”.
In Italia, prima dell’approvazione e dell’introduzione del Regolamento generale sulla protezione dei dati, era già stata la Corte di Cassazione a creare un precedente su questa tematica con la sentenza n. 5525/2012: “Il soggetto titolare dei dati personali oggetto di trattamento deve ritenersi titolare del diritto all'oblio anche in caso di memorizzazione nella rete Internet, mero deposito di archivi dei singoli utenti che accedono alla rete e, cioè, titolari dei siti costituenti la fonte dell'informazione. A tale soggetto, invero, deve riconoscersi il relativo controllo a tutela della propria immagine sociale che, anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei dati, e se del caso, avuto riguardo alla finalità di conservazione nell'archivio ed all'interesse che la sottende, finanche alla relativa cancellazione”.
Una delle domande più ricorrenti riguardanti il diritto all’oblio concerne proprio la possibilità di cancellare informazioni personali dai motori di ricerca, ad esempio da Google. Per questo, il potente motore di ricerca ha messo a disposizione dei suoi utenti una pagina apposita in cui si può richiedere la rimozione di determinati contenuti. Tuttavia, la situazione non è così semplice visto che, meno della metà delle richieste avrebbe trovato un riscontro positivo negli ultimi anni, secondo i dati raccolti dall’azienda di Mountain View.
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