Far vivere i propri animali domestici in un’abitazione piccola e sporca integra un reato!
Detenere un animale domestico in un’abitazione piccola e sporca, nonché la noncuranza per le condizioni igieniche dell’animale stesso, integra il reato di abbandono previsto e punito dall’articolo 727 del codice penale.
L'articolo 727 del codice penale, integra un'ipotesi contravvenzionale, rubricata abbandono di animali.
Il nostro ordinamento giuridico accorda una tutela diretta dell'animale, quale autonomo essere senziente, e non quale beneficiario di una tutela riflessa. Infatti, proprio prima della riforma del 1993, (L. del 22 novembre 1993, n. 473) gli animali venivano considerati fruitori di una tutela indiretta o riflessa; in poche parole il reato si considerava commesso solo se il maltrattamento dell'animale avesse offeso il comune sentimento di pietà. Oggi, per fortuna, agli animali è riconosciuta una tutela diretta e, quindi, possono godere di una tutela orientata a ritenerli a tutti gli effetti come esseri viventi.
Fatta questa piccola premessa, è opportuno evidenziare due profili: il concetto di animale domestico ed in cosa consiste, materialmente, l'azione dell'abbandono dello stesso.
Per animali domestici s'intende quella categoria di animali abituati a vivere insieme all'uomo o comunque in ambienti tipici dell'uomo, o che abbiano acquisito abitudini della cattività. Quest'ultima categoria fa riferimento a tutte quelle specie di animali vissute in luoghi protetti dall'uomo, laddove tali ambienti abbiano impedito loro di sviluppare gli istinti di sopravvivenza propri degli animali cresciuti liberamente.
Chiarito in cosa consiste il concetto di animale domestico, è necessario definire in cosa consiste il reato di abbandono.
L'abbandono può consistere unicamente in un comportamento commissivo, e quindi può essere commesso sia mediante un'azione che mediante un'omissione.
All'interno del concetto di abbandono rientrano il distacco volontario dall'animale - cioè nell'interruzione della relazione d custodia e di cura instaurata con l'animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non riceverà alcuna cura –, nonché qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione verso quest'ultimo, dovendosi includere nella nozione di "abbandono" anche comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia nell'immediata ricerca dell'animale.
Orbene, la necessità di conferire all'abbandono di animali una veste incriminatrice è giustificata dal particolare legame in forza del quale l'uomo instaura con l'animale stesso, un legame sia fisico che materiale.
Però, la norma incriminatrice espande la sua tutela anche su un diverso, e più ampio, orizzonte, punendo, altresì, il c.d. disinteresse.
Se è agevole comprendere, e al tempo stesso concepire, come disdicevole l'abbandono in senso fisico, cioè il mero distacco dall'animale, meno agevole (errando direi) è il binomio disinteresse-abbandono.
Sul tema, è importante rammentare che, nel tempo, si è formata una letteratura giurisprudenziale la quale sposa il concetto secondo cui la detenzione penalmente rilevante è quella attuata in condizioni incompatibili con la natura degli animali e, quindi, produttiva di gravi sofferenze.
Questo inciso ci permette di concepire le ragioni giuridiche attraverso le quali, la terza sezione della Suprema corte di cassazione, con la sentenza n. 39844/2022, ha recentemente potuto ritenere integrato il reato di abbandono nel caso in cui un uomo deteneva in un piccolo immobile di 40 mq ben sette (7) cani di razza Husky e Samoiedo.
Nonostante l'uomo nutriva i suoi animali e permetteva loro di passeggiare regolarmente, il Supremo consesso ha valorizzato altri elementi, tra i quali il numero di cani detenuto in relazione alle dimensioni dell'immobile, le condizioni di scarso igiene e la scarsa luminosità presente nell'immobile.
Ed invero, le numerose sentenze della Suprema corte di cassazione, in tema di abbandono di animali hanno più volte ribadito che "ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 727 cod. pen., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell'animale, ma anche in quella che produce meri patimenti" (Cass. Pen. Sez. III, n.14734/2019, Rv.275391 - 01; Cass. Pen. Sez. III n. 175/2007, Mollaian, Rv. 238602) pertanto, "è integrato il reato in argomento anche quando l'animale venga privato di cibo, acqua e luce" (Cass. Pen. Sez. VI, n. 17677/2016, Rv. 267313), o "in precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione" (Cass. Pen. Sez. III, n.49298/2012, Rv.253882 - 01), nonché "dalla detenzione con modalità tali da arrecare loro gravi sofferenze" (Cass. Pen. Sez. V, n.15471/2018, Rv.272851 - 01).
In conclusione, si può sostenere che la tutela concessa agli animali sia tale da coinvolgere il benessere psicofisico dell'animale stesso, in relazione alla sua natura, ed in particolare, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, invece, alle acquisizioni delle scienze naturali.