Ipotesi di irrilevanza della affissione del codice disciplinare
Ai fini della validità del licenziamento disciplinare non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare in presenza della violazione dei doveri fondamentali del lavoratore
La Corte di Cassazione., sez. lav., n. 23420/23 ha affermato che, ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari, non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare in presenza della violazione di norme di legge, e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione.
I La Corte d'Appello di Trieste, con sentenza depositata il 12 luglio 2019, rigettava l'appello proposto da un lavoratore contro la sentenza del Tribunale di Udine con la quale era stato respinto il ricorso da lui presentato per l'impugnativa del licenziamento disciplinare irrogatogli nell'agosto 2016. Il recesso era fondato sul fatto che, dopo un controllo sulle rimanenze del magazzino presso cui il dipendente prestava la propria opera, era stato accertato un notevole ammanco di merce, per un valore di circa 70.000 euro. Nel convalidare il licenziamento, la Corte territoriale, dopo aver rigettato i motivi d'appello fondati sulle asserite violazioni al procedimento disciplinare (inclusa quella legata al gran numero di pagine con gli oltre 7.000 articoli inventariati, e alla conseguente pretesa insufficienza del termine di 5 giorni per presentare le sue giustificazioni), aveva ritenuto irrilevante - vista l'appropriazione di beni aziendali di valore non irrisorio, costituente certamente un comportamento contrario al minimo etico - la mancata preventiva affissione del codice disciplinare.
Il lavoratore ricorre quindi avanti la Suprema Corte per violazione dell'art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300, anzitutto in quanto - pur dovendo egli verificare l'esistenza o meno delle migliaia di articoli di inventario - era stato contestualmente sospeso dal lavoro per 10 giorni, essendogli così stato precluso l'ingresso al magazzino; inoltre, la stessa norma era stata violata in ragione della mancata preventiva affissione del codice disciplinare.
Tali motivi, tuttavia, sono stati entrambi rigettati. Infatti, nel contestare l'insufficienza del termine legale di 5 giorni per presentare le proprie difese - astrattamente ritenuto congruo da parte del Legislatore - il lavoratore avrebbe quantomeno dovuto allegare sia quali attività avrebbe dovuto compiere al fine di rendere i chiarimenti richiesti, sia quanto tempo sarebbe stato eventualmente necessario; d'altro canto egli neppure si era attivato per chiedere una motivata proroga del termine per fornire le proprie giustificazioni, il che rende irrilevante il fatto che l'incolpato fosse stato sottoposto alla sospensione cautelare dal lavoro durante il termine a propria difesa.
Analogo esito hanno sortito le contestazioni relative alla mancata preventiva affissione del c.d. "codice disciplinare"; a tale riguardo la Corte di merito aveva già correttamente stabilito che un'appropriazione di beni aziendali di valore comunque non irrisorio rappresentava un comportamento contrario al minimo etico, la cui realizzazione consente di prescindere dall'adempimento formale dell'affissione del codice disciplinare.
Dal proprio canto, la Cassazione - si veda anche il principio di cui alla massima - ha condiviso tale ragionamento, dal momento che, senza dubbio, la condotta addebitata poteva chiaramente essere percepita dall'interessato come contraria al c.d. "minimo etico". In buona sostanza, quindi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, condannando il lavoratore al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. In senso conforme alla decisione in mota si vedano: Cass. civ., S.U., 7 maggio 2003, n. 6900, in Mass. Giur. it., 2003; Cass., sez. lav., 13 gennaio 2005, n. 488, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, pag. 134; Cass., sez. lav., 9 luglio 2021, n. 19588, in Guida lav., 2021, 35, pag. 83; Cass., sez. lav., 14 aprile 2022, n. 12321, in CED, 2022.