LESIONE DELLA LEGITTIMA: COME SI IMPUGNA IL TESTAMENTO.
Analizzeremo, in questa sede, uno dei vizi definiti sostanziali e, nello specifico, quello che ha ad oggetto la lesione della quota di legittima.
L'impugnazione del testamento può essere domandata per lesioni o vizi giuridicamente molto diversi fra loro. Precisamente, si possono distinguere i vizi formali dai vizi sostanziali, dal difetto della capacità e dai vizi della volontà.
I primi sono quelli che attengono alla forma, come l'olografia nel testamento olografo, i secondi sono quelli che attengono ad un contenuto testamentario difforme rispetto alle previsioni di legge, come ad esempio la lesione della quota di legittima. I terzi, riguardano la capacità di disporre per testamento, ad esempio, il caso in cui il testamento sia redatto da un minore e, gli ultimi, sono quelli relativi a violenza, errore e dolo.
Analizzeremo, in questa sede, uno dei vizi definiti sostanziali e, nello specifico, quello che ha ad oggetto la lesione della quota di legittima.
Premettiamo, sul punto, che la legge riserva a determinate categorie di soggetti – definiti legittimari e cioè, il coniuge, i figli e gli ascendenti- una quota dei beni appartenuti al defunto. Tali soggetti, ai sensi dell'art. 536 del codice civile, possono agire con l'azione di riduzione ogni qualvolta le disposizione testamentarie del loro congiunto abbiano leso la quota a loro spettante per legge. Ad esempio, Tizio muore lasciando moglie e due figli. La legge prevede che, in questo caso, l'eredità andrà divisa così: ¼ al coniuge; ½ da dividere equamente tra i figli; ¼ sarà la quota disponibile, cioè quella di cui il defunto potrà fare ciò che vuole.
Che cosa succede dunque se Tizio, con testamento, decide invece di lasciare tutti i suoi beni alla moglie e ad un solo figlio?
Il figlio estromesso, essendo un legittimario, avrà il diritto di agire con l'azione di riduzione volta alla tutela delle quota di legittima ai sensi dell'art. 536 c.c. L'azione di riduzione ha carattere personale, in quanto si rivolge contro i destinatari delle disposizioni lesive della quota dei legittimari ed ha la funzione di rendere inefficaci nei confronti di tali soggetti le disposizioni ereditarie e le donazioni che abbiano leso i diritti sulla quota di legittima di questi. L'azione di riduzione si propone citando in tribunale tutte quelle persone, anche diverse dai coeredi, che hanno beneficiato ingiustamente del patrimonio del defunto.
Naturalmente, la consistenza patrimoniale delle quote di legittima varia in relazione al concorso di più legittimari su una stessa successione ed alla consistenza del patrimonio del defunto, da calcolarsi ai sensi dell'articolo 556 c.c. L'azione di riduzione presuppone, dunque, un calcolo preciso, come abbiamo visto sopra, infatti, la legge stabilisce con esattezza le porzioni di eredità da attribuire a ciascun legittimario. Per poter effettuare la giusta stima, sarà dunque necessario stimare l'asse ereditario al netto dei debiti e delle donazioni fatte in vita.
E' importante precisare che le disposizioni testamentarie di cui si discute ora non sono viziate, né nulle, né annullabili, ma soltanto riducibili. Il Giudice avrà il compito di accertare l'esistenza della lesione della legittima ordinando la reintegrazione della parte necessaria a coprire la differenza.
Ai sensi dell'art. 558 c.c. la riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari e solo qualora anche operando la predetta riduzione non si riesca ad integrare la quota di legittima, il legittimario leso potrà, ai sensi dell'art. 554 c.c. agire in riduzione avverso alle donazioni perfezionate in vita dal defunto.
Riassumendo, ove vi sia lesione della quota riservata ai legittimari, si riducono:- prima le quote legali ab intestato, nel caso in cui non vi sia un testamento o questo contenga disposizioni solo su parte del patrimonio;
- poi le disposizioni testamentarie, in proporzione e senza distinguere tra legati e disposizioni ereditarie;- infine le donazioni, a cominciare dalla più recente.
In conclusione, indichiamo che il termine di prescrizione per l'esercizio della predetta azione è decennale a decorrere, secondo la giurisprudenza più autorevole (Cass. Sezioni Unite, 25 ottobre 2004, n. 20644) dalla data di accettazione dell'eredità.