CONDANNATO AL RISARCIMENTO DEL DANNO IL COMUNE CHE NON HA RIMOSSO LE BARRIERE ARCHITETTONICHE.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 3691/20, ha riconosciuto una forma di "discriminazione indiretta" in capo al Comune che cagionava un danno ad un consigliere disabile.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 3691/20, ha riconosciuto una forma di "discriminazione indiretta" in capo al Comune che, omettendo di installare una rampa per sedie a rotelle, cagionava un danno ad un consigliere disabile.
Nella fattispecie, una donna disabile ha citato in giudizio il Comune, presso cui era consigliera, chiedendo che il Giudice ordinasse al Comune stesso la cessazione del comportamento discriminatorio e lo condannasse alla realizzazione di opere idonee nonché al risarcimento del danno, da liquidare in via equitativa.
La donna ha, infatti, evidenziato, nel proprio atto di citazione, l'impossibilità, per lei e per tutti i disabili, di accedere autonomamente agli uffici comunali ed alla sala consiliare in quanto l'edificio era privo sia dell'ascensore per disabili sia del servo scala.
L'attrice, per poter accedere agli uffici amministrativi, si trovava, ogni volta, costretta a farsi trasportare dal personale comunale per due rampe di scale al termine delle quali vi era un montascale.
Il Tribunale di primo grado ha rigettato le domande della consigliera disabile la quale ha proposto appello avverso la Sentenza emessa in suo sfavore.
La Corte d'Appello adita ha riformato la Sentenza di primo grado, ritenendo che il comportamento tenuto dal Comune integrasse la fattispecie della "discriminazione indiretta", ossia un comportamento discriminatorio tenuto da un soggetto, che prescinde da ogni volontà ed intenzione di discriminare.
La presenza di un montascale al termine di due rampe di scale non è stata ritenuta, dai Giudici di secondo grado, una misura adeguata al superamento delle barriere architettoniche.
La presenza di barriere architettoniche che non permettessero alla consigliera l'accesso in autonomia agli uffici comunali ed alla sala consiliare era stata dimostrata anche dallo spostamento delle riunioni del consiglio presso altri locali a cui la donna avrebbe potuto accedere in autonomia (dopo le dimissioni dell'appellante, il consiglio è tornato a riunirsi presso la sede istituzionale).
La Corte d'Appello, pertanto, ha condannato il Comune al solo risarcimento del danno, avendo lo stesso, nelle more, provveduto alla realizzazione di un ascensore per disabili.
Il Comune ha proposto ricorso in Cassazione avverso la Sentenza di secondo grado adducendo due ordini di motivazioni.
Il primo motivo di ricorso riguardava l'integrazione del comportamento discriminatorio.
Il Comune, infatti, riteneva che nessuna condotta discriminatoria fosse stata posta in essere: la presenza del montascale (posto, si ricorda, in cima a due rampe di scale) e la successiva istallazione dell'ascensore per disabili sarebbero sufficienti, infatti, a dimostrare la volontà di superare le barriere architettoniche.
Il Comune ha motivato la propria affermazione sostenendo che il palazzo comunale fosse una costruzione degli anni cinquanta non sottoposto, quindi, alle previsioni della legge n. 13/99 relativa al superamento delle barriere architettoniche.
Secondo il ricorrente, infatti, la suddetta legge deve essere applicata solo ai "nuovi progetti" o alla "ristrutturazione di interi edifici" e non agli edifici già esistenti.
Nei casi di edifici già esistenti, come quello oggetto di causa, a parere del Comune, era sufficiente apportare solo accorgimenti atti a migliorare la fruibilità da parte dei disabili, ad esempio un sistema di chiamata per attivare un'assistenza che permettesse al disabile di fruire dei servizi.
Il secondo motivo di ricorso riguardava, invece, la condanna al risarcimento del danno.
A parere del Comune, la condanna al risarcimento del danno sarebbe ingiusta in quanto con i comportamenti posti in essere, non vi era l'intenzione di discriminare i soggetti diversamente abili.
La consigliera, costituendosi in giudizio, ha rilevato che solo in sede di ricorso in Cassazione, il Comune ha eccepito che il palazzo fosse degli anni cinquanta e quindi non sottoposto alla legge 13/99 e che, comunque, non sono mai stati apportati accorgimenti atti a migliorare la fruibilità, per i disabili, degli uffici comunali e della sala consigliare, ritenendo l'unico montascale presente non regolare, insicuro e non idoneo ad essere utilizzato in autonomia da un soggetto disabile (inidoneità accertata dalla Corte d'Appello).
La "discriminazione indiretta" si sarebbe perpetrata, secondo la donna, sino al momento dell'istallazione dell'ascensore per disabili.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo entrambe le motivazioni addotte dal Comune infondate.
Secondo gli Ermellini, è integrata la fattispecie di condotta discriminatoria ogni qualvolta sia impedita o limitata l'accessibilità ad un determinato luogo ad un soggetto diversamente abile, indipendentemente dalla normativa specifica che attribuisce la qualificazione di barriera architettonica ad un determinato stato dei luoghi.
Sussistendo, nel caso concreto, un'effettiva impossibilità per un soggetto disabile di accedere in autonomia al palazzo comunale (a causa dell'assenza di ascensori e di idonei montascale), viene integrata la fattispecie della "discriminazione indiretta".
In merito al risarcimento del danno, invece, la Suprema Corte ha ritenuto di non poter statuire sul punto in quanto è stata effettuata una liquidazione in via equitativa da parte della Corte d'Appello e tale liquidazione non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità se nelle motivazioni della Sentenza viene indicato il percorso logico e valutativo seguito.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i Giudici di secondo grado abbiano indicato tutti i criteri adottati per la liquidazione del danno cioè la destinazione del fabbricato, la qualifica ricoperta all'epoca dall'attrice e la durata della situazione discriminatoria.
La Suprema Corte ha, pertanto, confermato la condanna nei confronti del Comune al risarcimento del danno nella misura stabilita dalla Corte d'Appello.
In conclusione: la mancata eliminazione di barriere architettoniche ostative dell'accesso di persone disabili agli uffici comunali costituisce discriminazione indiretta, pertanto, il Comune è tenuto al risarcimento del danno.